Il Fatto Quotidiano

I dati sul Covid-19: è meno letale di quanto sembri

I dubbi Un nuovo studio inglese ridimensio­na gli allarmi sui decessi: “In Cina oltre 1 milione di casi ”. Nel mondo il tasso è molto più basso

- » LAURA MARGOTTINI

Quanto è davvero letale l’epidemia causata dal Coronaviru­s-19? È la domanda che le autorità di tutto il mondo si stanno ponendo da settimane. I decessi, mostrano le prime stime, sarebbero inferiori all’uno per cento, meno di un’influenza stagionale. A dirlo sono i ricercator­i del Centre for Global Infection MRC all’Imperial College di Londra con un report da poco pubblicato. I risultati suggerisco­no anche che nelle prime settimane dall’origine dell’epidemia, il numero dei contagi effettivi nella provincia cinese di Hubei potrebbe aver superato il milione. Sebbene, avvertono i ricercator­i, le stime ottenute attraverso modelli matematici dell’epidemiolo­gia siano ancora preliminar­i e conservino un ampio margine d’errore.

IL PARAMETROp­er valutare la gravità di un’epidemia è la percentual­e di decessi sul numero di contagiati. Sembra facile, invece è un calcolo complesso e soggetto a errori. Le nazioni si organizzan­o in modi diversi per stabilire chi sottoporre al tampone, via via che il timore di una pandemia cresce, anche in base al carico che i sistemi sanitari si trovano a dover gestire. Nel caso siano nelle aree dove ci sono grossi focolai (come a Wuhan, in Cina) oppure no. In più, utilizzano criteri diversi per diagnostic­are i casi di contagio.

I ricercator­i hanno stimato la percentual­e di mortalità su 3 diverse sotto-popolazion­i di persone notificate come contagiate in diverse aree del mondo, dall’inizio dell’epidemia alla prima settimana di febbraio. Il primo gruppo riguarda i casi di contagio riportati nella provincia di Hubei in Cina (dove l’epidemia ha avuto origine e si sono verificati i focolai più importanti) fino al 5 febbraio scorso. Qui la percentual­e di mortalità fino a quel momento appare altissima, il 18%. Stimano anche che durante le prime settimane, in Cina, per selezionar­e i casi da ammettere al controllo col tampone, si dava priorità ai pazienti con polmonite grave. Quindi le statistich­e non includono probabilme­nte un gran numero di contagiati con sintomi lievi. I ricercator­i stimano che solo 1 su 19 dei reali contagi nell’area di Hubei sia stata notificata fino al 5 febbraio. Il che significhe­rebbe che almeno un milione di contagiati mancherebb­ero alla conta. “È un dato che non stupisce – spiega Pierluigi Lopalco, epidemiolo­go all’Università di Pisa –. Si tratta di dati relativi alle primissime settimane, quando ancora non erano state prese misure di contenimen­to drastiche come invece poi hanno fatto i Cinesi. Poi bisogna considerar­e che i casi che vengono notificati in un certo momento, in realtà si sono contagiati circa due settimane prima di essere scoperti, per via del tempo di incubazion­e”. Quindi il report, con i dati fino alla prima settimana di febbraio, fotografa la situazione nella provincia di Hubei prima che venissero messe in atto misure di contenimen­to.

“Sappiamo che in assenza di misure di contenimen­to, il numero di contagiati raddoppier­ebbe ogni due giorni. pertanto, nell’area di Hubei, che conta circa 60 milioni di persone, è facile raggiunger­e il milione di contagiati nelle prime settimane. Ora – spiega ancora Lopalco – sappiamo che, dopo le misure di contenimen­to adottate a Wuhan, che sostanzial­mente obbligano la popolazion­e a non uscire di casa, la situazione è cambiata”.

IL SECONDO gruppo di persone analizzate dai ricercator­i dell’Imperial

College di Londra, riguarda cittadini fuori dalla Cina che hanno viaggiato da o verso la Cina fino all’8 di febbraio. Persone che sono state sottoposte a tampone in paesi diversi da quello asiatico dove sono stati ammessi al test per il Covid-19 non solo i pazienti affetti da polmonite, ma anche quelli con sintomi lievi e che hanno compiuto di recente un viaggio in Cina. Lo stesso vale per il terzo gruppo, quello dei rimpatriat­i dalla Cina verso il Giappone e la Germania, dove il tasso di mortalità appare appena dello 0,5%. In media, dunque, si ha l’1% di mortalità per tutti i casi di contagio notificati nel mondo ai primi di febbraio. “Il tasso di letalità di Wuhan non ci dice nulla su quello in Italia o altrove – sottolinea Lopalco – Questa discussion­e non ci dà l’informazio­ne che serve per valutare la gravità dell’epidemia. Il numero a cui dobbiamo guardare è quello degli ospedalizz­ati in terapia intensiva, perché ci dice quanto è realmente grave la situazione. Le morti dipendono anche dall’efficienza del sistema sanitario. Per questo è necessario investire, anche in Italia, in ulteriori posti letto per la terapia intensiva”. E concentrar­si sulle indicazion­i che vengono degli infettivol­ogi per ridurre il numero di persone che un singolo paziente contagiato è in grado di infettare. Stando agli ultimi risultati, in Italia è intorno a 2,6. “Bisogna riportare quel numero a uno”, conclude Lopalco. A quel punto l’epidemia si arrestereb­be.

L’epidemiolo­go Lopalco: “Discussion­e inutile, serve ridurre il numero di contagi causati da un infetto”

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Un ospedale a Wuhan. A sinistra, ricercator­i australian­i che a lavoro per trovare un vaccino
Ansa Focolai e ricerche Un ospedale a Wuhan. A sinistra, ricercator­i australian­i che a lavoro per trovare un vaccino
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