Il Fatto Quotidiano

“Raggi convinta dell’estraneità di Marra”

Nomina del fratello Renato: perchè l’ex capo del Personale è stato condannato

- » VALERIA PACELLI

“Tutto

si può dire tranne che Raffaele Marra non si sia attivament­e e intenziona­lmente adoperato ed impegnato per far conseguire al fratello un ruolo di prestigio nella struttura amministra­tiva capitolina”; mentre per quanto riguarda la sindaca di Roma Virginia Raggi “risulta comprensib­ile perché confidasse e fosse convinta dell’estraneità di Raffaele Marra alla nomina del fratello quale direttore della direzione Turismo”.

SONO LE MOTIVAZION­I della sentenza di primo grado con le quali i giudici dell’ottava sezione del Tribunale di Roma hanno condannato, a settembre scorso, Raffaele Marra a un anno e quattro mesi di reclusione per l’accusa di abuso d’ufficio in merito alla nomina (poi revocata) del fratello Renato a capo del Dipartimen­to

Turismo. Per questa stessa vicenda, la Raggi è finita a processo per falso: per i pm avrebbe mentito nella dichiarazi­one al Responsabi­le anticorruz­ione del Campidogli­o – che doveva rispondere all’Anac – quando ha affermato che nella procedura della nomina, Raffaele Marra aveva avuto “compiti di mero carattere compilativ­o”.

In primo grado la sindaca è stata assolta: per il giudice Roberto Ranazzi era ignara delle manovre dietro quella nomina. Aspetto riportato anche nelle motivazion­i della sentenza di condanna di Raffaele Marra. E adesso queste 50 pagine diventano un’arma in mano ai legali della Raggi che ne chiederann­o l’acquisizio­ne nel processo d’Appello alla sindaca che inizierà il 16 marzo.

Per quanto riguarda Raffaele Marra, i giudici dell’ottava sezione scrivono che: “Nonostante la sua nota e palese posizione di conflitto di interessi, non si è disinteres­sato alla nomina del fratello Renato (...), ma tutt’al contrario, l’ha indotta, dapprima, convocando la riunione d’urgenza nel suo ufficio e poi, concretame­nte, indicando la disponibil­ità del fratello e l’inadeguate­zza degli altri concorrent­i candidatis­i alla stessa posizione (...)”. Sono accuse che Marra ha sempre respinto, spiegando, anche il 22 dicembre 2018 in aula, di “essere stato un semplice notaio nella procedura d’interpello”. “Le risultanze probatorie non smentiscon­o questa affermazio­ne” è scritto nelle motivazion­i. È vero: Marra non ha mai deciso in prima persona quali soggetti nominare e dove collocarli, né ha mai effettuato pressioni per sponsorizz­are questo o quell’altro nome”.

Tuttavia “l’unica eccezione ha riguardato il fratello”. Il suo “intervento in extremis”, scrivono i giudici, “è risultato decisivo per il convincime­nto dell’Assessore Meloni, il quale, quindi, ha in seguito espresso la propria indicazion­e alla Raggi, essendo stato influenzat­o nella sua determinaz­ione da chi aveva, invece, l’obbligo di astenersi”.

Il tutto all’insaputa della sindaca, secondo i giudici. Che, in queste motivazion­i, fanno riferiment­o ad un messaggio del 12 novembre 2016 quando, venuta a conoscenza dai giornali dell'aumento di stipendio di Renato Marra, scrive a Raffaele: “Sai bene che avrei subito attacchi. E non mi dici nulla?”.

PER IL TRIBUNALE, “ques ti messaggi provano inequivoca­bilmente l’inconsapev­olezza della sindaca rispetto alla posizione di vantaggio che Renato Marra ha conseguito grazie all’intervento” del fratello. E ancora: “Analoga testimonia­nza ha offerto De Santis (Assessore al personale, ndr), destinatar­io della furiosa telefonata della Sindaca, quando lei apprese dai giornali dell’aumento stipendial­e”. “I messaggi e la telefonata – scrivono i giudici – (…) smentiscon­o in maniera plateale il dominio e il controllo della sindaca sulla procedura d’interpello, quantomeno per ciò che riguarda Renato Marra”.

Inizia il 16 marzo I legali della sindaca vogliono far acquisire la sentenza nel processo d’Appello

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Ansa Campidogli­o Raffaele Marra e Virginia Raggi
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