“Cecchi Gori in cella” Anzi no: cronaca di un arresto urlato
“Cecchi Gori si trova ora a Rebibbia”. Sono le 10:32 e l’agenzia Ansa è perentoria: il 78enne ex produttore cinematografico sta dietro le sbarre: “I carabinieri del Nucleo investigativo – inizia così il lancio – hanno notificato a Vittorio Cecchi Gori un ordine di esecuzione per la carcerazione emesso dalla Procura Generale della Corte d’Appello di Roma per un cumulo di pena di 8 anni, 5 mesi e 26 giorni di reclusione”. L’ex senatore è stato infatti condannato definitivamente lunedì scorso a 5 anni e mezzo per il crac da 24 milioni di euro della casa di produzione Safin. Condanna che va ad aggiungersi ad altre già subìte in passato. Alle 10:59 l’AdnKronos conferma: “È stato portato a Rebibbia”.
E A QUEL PUNTO si scatena l’indignazione. Il primo classificato, dimostrando ancora una grande freschezza, è Giuliano Ferrara: “Chiedo scusa – scrive su Twitter alle 12:37 – ma Vittorio Cecchi Gori è del 1942. È minimamente sensato imbastigliarlo”?
Alle 13:32 è la volta di Maurizio Turco e Irene Testa: “Se la pena deve tendere alla rieducazione – scrivono il segretario e il tesoriere del Partito Radicale – e la Costituzione è ancora valida, non ha senso oggi per Vittorio Cecchi Gori scontare una pena a otto anni nel carcere di Rebibbia, così come per qualunque altro detenuto”. Frattanto il Tg1 delle 13:30 rilancia la notizia dell’ar r e st o chiudendo il servizio – dopo aver ricordato i fasti cinematografici e sportivi dell’ex senatore – con un elegiaco “la gloria ristretta dentro una cella”. A quel punto il mondo del cinema, che tanto ha avuto da VCG, si desta. Il primo è il regista Marco Risi: “Per una volta la penso come Giuliano Ferrara – dichiara –. Vi ttor io
Cecchi Gori è stato male un anno fa, ha avuto un ictus. Questa cosa rischia di farlo stare veramente male lì dentro. Spero che riesca a starci, ma spero anche gli diano gli arresti domiciliari”.
Poi è la volta di Lino Banfi: “Sarei felicissimo se dessero i domiciliari – è il pensiero di nonno Libero –. Non è solo un fatto di età ma di salute. Andare in carcere può fargli solo male. Mi auguro di cuore per amicizia e perché sono più grande di lui di età che possa stare a casa. Hanno concesso i domiciliari a gente che ha fatto cose molto più gravi”. Gli fa eco Giovanni Veronesi poco dopo: “Vittorio Cecchi Gori – scrive il regista – è una persona malata. E bisogna avere un briciolo di accortezza prima di sbatterlo in carcere. Ci potrebbe anche rimanere. Da solo si è già punito nella sua vita. Per quanto riguarda la condanna per bancarotta fraudolenta io non so nulla nel merito ma credo sia pericoloso portarlo in carcere nelle sue condizioni”. Alle 14:58, però, l’Ansa corregge il tiro: “Vittorio Cecchi Gori – è il lancio d’agenzia –, è ricoverato all’ospedale Gemelli di Roma, dove si trova piantonato”.
CECCHI GORI è infatti ricoverato dal giorno in cui la Cassazione ha emesso la sentenza definitiva, secondo i suoi legali (che contestano anche il calcolo del cumulo di pena) le sue condizioni di salute sono assolutamente incompatibili con il carcere. Tutte cose che saranno valutate “al termine della degenza”, quando, in teoria, si aprirebbero davvero le porte del carcere. C’è ancora tempo per Christian De Sica, che si indigna per “il carcere a una persona vecchia e malata”, ma è una dichiarazione delle 15, praticamente contemporanea al chiarimento.
Equivoco chiarito? Macché. Poteva mancare Vittorio Sgarbi? No: “La vera epidemia – osserva Sgarbi – è la barbarie della magistratura che infierisce contro i vecchi trasformando lunghi processi e persino le assoluzioni in ergastolo. Non è tollerabile che un uomo malato di 77 anni venga portato in carcere. E non è tollerabile che la Procura ricorra in Cassazione contro l’assoluzione di Calogero Mannino”. Per Sgarbi Mannino sta bene su tutto.