Il Fatto Quotidiano

Disabili licenziati dalla Unilever Gli altri vanno in appalto, per ora

9 lavoratori di categoria protetta perdono il posto all’Algida, marchio della multinazio­nale. Alcuni accettano il ricatto: meglio il precariato della disoccupaz­ione

- » ROBERTO ROTUNNO

Le opzioni sul tavolo sono due: o si accetta di non lavorare più per l’Algida e passare a una ditta in appalto, o si viene licenziati. Non proprio una scelta comoda quella che si è presentata ai nove addetti alla portineria dello stabilimen­to Unilever di Caivano, vicino Napoli. Sono quasi tutti appartenen­ti alle cosiddette categorie protette, chi per problemi di disabilità, chi per essere stato in passato vittime di gravi infortuni sul lavoro. Una circostanz­a non secondaria. Vista la situazione, insomma, ci si aspettava uno sforzo maggiore da parte della multinazio­nale olandese– britannica, titolare del marchio di gelati, la quale però è stata decisa nell’andare avanti sulla strada tracciata. Anche grazie a un accordo con i sindacati, non firmato dalla Flai Cgil, che ha previsto – oltre al taglio della portineria – altri 20 licenziame­nti tra operai e impiegati. Così, cinque hanno accettato di essere “venduti” e stanno per essere assunti dalla nuova azienda, gli altri quattro stanno ricevendo le lettere di licenziame­nto. C’è un motivo per cui si sono opposti all’ipotesi che sarebbe sembrata il male minore.

LA NUOVA SOCIETÀ, San Vincenzo Srl, “si occuperà della gestione delle attività della portineria per la durata di tre anni”, dice l’intesa. Quindi il rischio è trovarsi in mezzo a una nuova crisi di lavoro nel 2023, alla scadenza del contratto. È un po’ la classica situazione di appalti e subappalti: i lavoratori possono anche avere un rapporto a tempo indetermin­ato, ma il loro destino resta legato a quello che succederà nel giorno della cessazione, quando arriverà una nuova impresa e la “clausola sociale” potrebbe non funzionare in modo automatico. In sostanza, una situazione che comunque è avvertita come molto più precaria. Ecco perché almeno una parte di queste persone ha provato fino all’ultimo a restare attaccata all’Unilever, tentando di far cambiare idea alla multinazio­nale.

Come detto, tra l’al tr o, questa operazione si è inserita in una procedura di licenziame­nto collettivo. La Unilever aveva dichiarato 53 esuberi, poi diventati 29 con l’accordo sindacale. Ma la cessione all’esterno della portineria, con conseguent­e transito dei nove lavoratori delle categorie protette, non è mai stata messa in discussion­e. Per gli altri venti allontanam­enti, invece, saranno applicati i criteri di legge: andranno a casa quelli con meno anzianità, senza carichi famigliari, o quelli che possono essere accompagna­ti alla pensione con Quota 100. “In tutti questi anni – ha commentato con amarezza la Flai Cgil – abbiamo firmato accordi su accordi sempre per il rilancio del sito, e invece è bastato sacrificar­e nove lavoratori per assicurare un grande piano industrial­e”.

Un tempo in quello stabilimen­to erano occupati 1.200 persone, oggi sono 700 (230 i part time). Il Fatto Quotidiano ha chiesto all’azienda – senza però ottenere risposta – quali garanzie avranno i lavoratori passati all’altra azienda di non perdere il posto alla fine dell’appalto e il motivo per cui non è stato possibile evitare il licenziame­nto di quelli rimasti.

L’impianto A destra, la fabbrica di Caivano, Napoli: la portineria passa in appalto Sindacati I tagli avvengono anche grazie a un accordo con le organizzaz­ioni dei lavoratori, non firmato dalla Flai Cgil

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