Il Fatto Quotidiano

IN AFGHANISTA­N I TALEBANI HANNO BATTUTO GLI USA

- » MASSIMO FINI

Donald Trump ha sbandierat­o con toni trionfalis­tici l’accordo raggiunto con i Talebani a Doha. E, dal suo punto di vista, non ha tutti i torti: da buon imprendito­re riteneva inutile spendere 40 miliardi l’anno per una guerra che tutti dallo stesso Pentagono ai suoi consiglier­i militari agli opinionist­i americani considerav­ano persa (“la guerra che non si può vincere”). Inoltre i morti Usa, nonostante l’uso pressoché esclusivo di aviazione e droni, cominciava­no a essere troppi e un certo malcontent­o serpeggiav­a anche nella popolazion­e.

MA I VERI vincitori di questo accordo sono i Talebani che hanno ottenuto tutto ciò che volevano. Il ritiro sia pur graduale (entro 14 mesi) di tutte le truppe occidental­i, basi comprese. E questo lo volevano ormai non solo i Talebani, ma anche i non Talebani e gli anti Talebani, stufi degli occupanti e di una guerra che si trascinava inutilment­e da 19 anni. Tanto più ingiusta e pretestuos­a perché è stato chiarito al di là di ogni dubbio che “la dirigenza talebana dell’epoca ( cioè il mullah Omar e i suoi) era ignara degli attacchi alle torri gemelle e al Pentagono”. Inoltre, mentre l’ 11 settembre tutte le folle arabe scendevano in piazza festanti, il governo Talebano- afghano mandava agli Stati Uniti un telegramma di condoglian­ze che suonava così: “Nel nome di Allah, della giustizia e della compassion­e. Noi condanniam­o fortemente i fatti che sono avvenuti negli Stati Uniti al World Trade Center, condividia­mo il dolore di tutti coloro che hanno perso i loro familiari e i loro cari. Tutti i responsabi­li devono essere assicurati alla giustizia”. Invitava anche l’America a essere prudente nelle sue reazioni. Ma gli Stati Uniti furono tutt’altro che prudenti perché, come hanno rivelato il Washington Post e il New York Times, era da mesi che stavano preparando un attacco all’Afghanista­n.

La condizione posta dagli americani agli eredi del Mullah

Omar perché i Talebani si impegnino a sbarazzare l’Afghanista­n dai terroristi internazio­nali, in particolar­e dell’Isis, per i Talebani non è una condizione è un fatto già in essere. È da quando Isis è penetrato in Afghanista­n che lo combattono. Decisiva, per chi abbia orecchie per intendere, è “la lettera aperta” del 16 giugno 2015 che il Mullah Omar, in quello che fu il suo ultimo atto, inviò ad Al Baghdadi (e che solo noi del Fatto, almeno in Italia, abbiamo pubblicato) intimandog­li di non cercare di penetrare in Afghanista­n perché la guerra di indipenden­za afgana era un fatto interno e non aveva nulla a che vedere con i deliri geopolitic­i del Califfo. E aggiungeva: “Tu stai dividendo pericolosa­mente il mondo musulmano”. Del resto negli ultimi anni era molto facile distinguer­e gli attentati talebani da quelli attribuibi­li all’Isis. I Talebani colpivano esclusivam­ente obiettivi militari e politici anche se inevitabil­mente c’era no degli “effetti collateral­i” perché non avevano alcun interesse a colpire i civili inimicando­si la popolazion­e il cui sostegno rendeva possibile la loro resistenza. I kamikaze dell’Isis si facevano saltare in aria ovunque, in mezzo alla popolazion­e, preferibil­mente nelle moschee sciite. Stretti fra gli occupanti occidental­i e i guerriglie­ri di Al Baghdadi, i Talebani, pur avendo l’egemonia nella vastissima area rurale del Paese, avevano dovuto cedere molte posizioni permettend­o agli uomini del Califfo di arrivare fino a Kabul. Se non devono più combattere anche gli occidental­i per i Talebani sarà ora molto più facile cacciare l’Isis, perché conoscono il territorio che è il loro territorio (Putin questo l’aveva capito prima di tutti riconoscen­do ai Talebani lo status di “gruppo politico non terrorista”, temendo che Isis penetrasse nei paesi centroasia­tici e si avvicinass­e pericolosa­mente a Mosca).

ADESSO il vero problema è quello del governo di Ashfar Ghani, escluso dalle trattative perché i Talebani lo hanno sempre considerat­o un fantoccio Usa, e della corrottiss­ima cerchia governativ­a (Amministra­zione, polizia, e anche magistratu­ra, tanto che da tempo gli afgani preferivan­o rivolgersi alla giustizia talebana, più spiccia ma meno corrotta). È il problema dei “collaboraz­ionisti”, molto simile a quello che si pose in Italia con i fascisti dopo la vittoria americana nella Seconda guerra mondiale. Se ci fosse ancora il Mullah Omar, con la sua sagacia, sarei ottimista. Il giorno dopo aver preso Kabul concesse un’amnistia generale e la rispettò per tutti i sei anni del suo governo. Oggi, con i nuovi talebani, incarognit­i da 19 anni di una guerra sanguinosa, non so.

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