Il Fatto Quotidiano

44 mld di ragioni per lisciare la Cina

Interessi Il governator­e del Veneto si è scusato in fretta per le sue frasi, a ragione: Pechino è un fondamenta­le partner commercial­e

- » NICOLA BORZI

Èper un paradosso che proprio dal Veneto sia arrivato uno schiaffo alla Cina in tempi di epidemia con l’incredibil­e frase del governator­e Luca Zaia secondo il quale “abbiamo visto tutti i cinesi mangiare topi”. È un paradosso perché erano veneziani della famiglia Polo i primi mercanti europei dei quali, a metà del Duecento, la storia ha notizia di viaggi nel Catai. Perché tra il 1917 e il 1918, ne “l’an de la fam”, l’anno della carestia dovuta alla guerra, per sopravvive­re molti veneti i topi dovettero mangiarli davvero. Ma è un paradosso anche per un altro motivo: perché il Veneto, insieme all’Italia e all’Unione europea, ha molto, moltissimo da perdere da uno scontro commercial­e con la Cina.

NEL 2018, l’ultimo anno per il quale sono disponibil­i dati ufficiali, tra beni e servizi la Ue ha avuto un interscamb­io commercial­e con la Repubblica popolare pari a 684 miliardi di euro. La Cina è stata il secondo Paese partner dell’Unione europea, con il 15,4% del totale, dopo gli Usa (17,1%). Ma per Pechino, l’Ue è invece stata la prima destinazio­ne, con il 14,8% del totale, seguita dagli Usa con il 13,7%. La parte del leone, nel Vecchio continente, l’ha fatta la Germania con esportazio­ni verso Pechino per 169 miliardi. Alle sue spalle, dopo Olanda, Regno Unito e Francia, l’Italia arrivava quinta con un interscamb­io di 43,9 miliardi di euro. Meccanica, autoveicol­i, ottica, agroalimen­tare e farmaceuti­ca sono i prodotti più esportati dalla Ue in Cina, mentre i più importati sono quelli della meccanica, del tessile e dell’arredament­o. Tra i servizi, il turismo è il primo legame, insieme ai trasporti e alla proprietà intellettu­ale. Secondo Eurostat l’Italia è quarto fornitore della Cina tra i Paesi europei con export per 13,2 miliardi, tra cui formaggi, vino, gelati, caffè con i marchi di punta Illy e Lavazza. Quanto all’import, l’Italia ha acquistati prodotti cinesi per 30,7 miliardi.

Nei primi nove mesi del 2019 invece l’export italiano in Cina è calato a 9,4 miliardi mentre l’import è ammontato a 24,2 miliardi.

COME QUASI 800 anni fa, il Veneto è ancora in prima fila negli scambi commercial­i tra l’Italia e la Cina. Secondo i dati più recenti elaborati dall’Ufficio di statistica della regione guidata da Zaia, nei primi nove mesi dell’anno scorso l’interscamb­io con la Repubblica popolare ammontava a oltre 4,3 miliardi, tra 3,2 miliardi di esportazio­ni e 1,1 di importazio­ni. Tra le province venete i legami con la Cina erano più forti a Treviso (1 miliardo di interscamb­io), seguita da quella di Vicenza (oltre 991 milioni) e Padova (820 milioni). Tra i distretti industrial­i italiani più legati all’economia di Pechino, secondo l’ultimo rapporto di Intesa Sanpaolo, ci sono quello della meccanica strumental­e e quello della concia di Vicenza.

In gioco tuttavia c’è molto più che il commercio. Il 23 marzo 2019 l’Italia è diventata il primo Paese del G7 a unirsi al progetto cinese Belt and Road Initiative ( Nuova via della seta). In quell’occasione aziende cinesi e italiane hanno firmato dieci accordi per un valore dai 5 ai 20 miliardi di euro. Secondo l’ultimo report di Fondazione Italia-Cina e Cesif, in Cina e a Hong Kong ci sono quasi 2mila imprese italiane con 190mila addetti e un fatturato di 36 miliardi. Dai primi anni Duemila sono cresciute di sette volte, specie sul fronte produttivo, perché vent’anni fa due terzi delle aziende italiane in Cina avevano solo uffici commercial­i.

POI CI SONO le imprese cinesi in Italia. A livello finanziari­o, investitor­i cinesi possiedono il 45% di Pirelli, il 2-3% di Eni, il 35% di Cdp Reti, il 2% circa di Intesa SanPaolo, UniCredit e Generali, il 40% di Ansaldo Energia e l’intera Candy. A fine 2018 nella Penisola erano presenti 340 gruppi della Repubblica popolare o con quartier generale a Hong Kong. Le imprese italiane partecipat­e da questi gruppi erano 638, con una occupazion­e complessiv­a di quasi 42mila addetti e un giro d’affari di circa 23,4 miliardi di euro. Le imprese italiane a partecipaz­ione cinese occupavano oltre 29mila dipendenti con un fatturato di quasi 15,7 miliardi, quelle controllat­e da multinazio­nali di Hong Kong davano lavoro a oltre 12.800 italiani per un fatturato di 7,7 miliardi. A livello territoria­le, dopo le 182 imprese italiane a capitale cinese presenti in Lombardia con oltre 9.500 addetti veniva il Lazio con 53 aziende, l’Emilia Romagna con 43 imprese e quasi 4mila lavoratori. A seguire Piemonte e Veneto con la presenza di 34 imprese cinesi per regione, la prima con 3.800 addetti e la seconda con oltre 3.200.

Nonostante le scuse, dunque, Zaia e i suoi fan devono fare attenzione a prendersel­a coi cinesi. Proprio un detto veneto infatti ricorda che “a rìdare de venere, se pianse de domenega”: a ridere di venerdì, paradossal­mente si rischia di piangere di domenica.

20 mld

Il valoremass­imo degli accordi della Nuova via della Seta stretti nel 2019

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