Salute La cattiva gestione dei rifiuti è dannosa, ma non c’entra con il Covid-19
Urge una precisazione a proposito dell’articolo di domenica 1 marzo, dal titolo “Pulizia delle scuole, da domani in 4.000 perdono il lavoro”. Grazie al MoVimento 5 Stelle lo Stato italiano ha assunto 12.000 lavoratori storici del settore delle pulizie scolastiche, che dopo vent’anni di precarietà e spesso sfruttamento, dal primo marzo 2020 lavoreranno con un contratto a tempo indeterminato statale, non solo tenendo le scuole pulite ma anche assolvendo a tutte le mansioni di vigilanza e assistenza del personale Ata, mettendo fine a un pezzo di privatizzazione della scuola pubblica.
Entro il 28 febbraio sono state chiuse tutte le procedure di selezione e oggi questi 12.000 lavoratori sono a disposizione delle scuole, finalmente libere da una esternalizzazione illogica e soprattutto inefficiente, che aveva condannato questi lavoratori alla precarietà a vita, mentre il servizio era scadente e a trarne vantaggio erano soltanto le ditte appaltatrici. Ora qualcuno cavalca la protesta dei lavoratori esclusi per mancanza di titoli, con l’obiettivo di strappare qualche concessione e non certo di tutelare i posti di lavoro. Noi non cediamo al ricatto degli attori che hanno tenuto condotte scorrette, come confermato sia dall’Antitrust sia dall’Anticorruzione. Vogliamo che i soldi spesi dallo Stato vengano utilizzati per servizi efficienti, a vantaggio della collettività, della sicurezza e delle tante esigenze della Pubblica amministrazione, cosa che non è avvenuto con il fallimentare appalto scuole belle che anche il vostro giornale ha raccontato. Per questo la Presidenza del Consiglio affronterà presto soluzioni utili tanto per i cittadini che per la dignità del lavoro, su cui tanto si sta spendendo questo governo, affinché i lavoratori possano accedere a tutti gli strumenti di sostegno disponibili e che per loro si attivino opportunità di lavoro qualificate e qualificanti.
GENTILE REDAZIONE, vi scrivo come cittadino preoccupato per la salute pubblica, e per la scarsa attenzione da parte delle istituzioni dellaRegione Lazio e della Capitale alla gestione dei rifiuti, anche in virtù delle recenti notizie sull’epidemia da Coronavirus. La preoccupazione riguarda il fatto che il virus si propaga anche attraverso materiale organico di cui sono composti molti dei nostri rifiuti solidi urbani, spesso abbandonati ai bordi delle strade o, nel migliore dei casi, buttati in discarica senza alcun trattamento biologico.
Alcune delle nostre discariche ricevono rifiuti in deroga per quel che riguarda il residuo organico presente, ossia con una percentuale di residuo superiore a quanto sarebbe consentito: il tutto in virtù anche della grande incapacità della Capitale e della Regione di chiudere il ciclo dei rifiuti in maniera virtuosa. In una situazione di emergenza sanitaria nazionale come questa, mi domando: non è forse il caso di rivedere queste deroghe per la tutela della salute pubblica, del personale che opera nella raccolta e di chi lavora nelle discariche? Non crede che sarebbe forse opportuno che le istituzioni locali intervengano per rassicurare i cittadini?
GENTILE ROSSI, la premessa indispensabile è che la “mala gestio” dei rifiuti urbani porta tanti rischi per la salute generale, ma poco c’entra con il Coronavirus o con l’influenza in generale. Certo, le normali regole di igiene e un ambiente salubre aiutano il sistema immunitario a difendersi da virus e batteri, ed è per questo che – ad esempio – il Comune di Roma ha avviato una campagna di disinfezione dei mezzi pubblici e delle strade. Detto questo, nel Lazio non ci sono discariche che derogano all’indice respirometrico – così si calcola il “residuo organico” presente negli scarti dei tmb – stabilito per legge. Il problema È mai possibile che in un momento così difficile, ci si debba dividere su come viene gestita la crisi ? È mai possibile che alcuni politici spalleggiati da certi giornali e talk show, ogni giorno, non fanno altro che infondere paura a dispetto delle rassicuranti dichiarazioni degli esperti? Come possono coloro che dichiarano di amare l’Italia lasciar credere che gli italiani riescono a dividersi anche quando è fondariguarda gli impianti, vetusti o stressati dalle continue emergenze, che agiscono “fuorilegge” e non lavorano adeguatamente i rifiuti. Laddove si è verificato questo, ci sono inchieste della magistratura in corso, mentre gli impianti sono stati costretti ad adeguarsi. Il rifiuto non stabilizzato può determinare dispersione del percolato, con inquinamento delle falde acquifere e propagazione di miasmi. Eventualità che aumenta se la discarica riceve rifiuti che non è autorizzata a gestire. È su questo che le istituzioni dovrebbero essere chiamate a rispondere. Le condizioni di rischio per la salute pubblica – patologie tumorali o del sistema circolatorio – sono serie, ma nulla c’entrano con la diffusione del virus come il Covid-19. mentale mostrarsi uniti? Ecco, mi piacerebbe “stanare” i falsi patrioti, con una proposta provocatoria. Perché non autotassarci per un certo periodo a una parte della retribuzione e/o pensione (mi riferisco ovviamente a coloro con un certo reddito) versando il ricavato su un fondo messo a disposizione del Mef per destinarlo agli investimenti pubblici? Sinceramente sono stufo di ascoltare lamentele da gran parte delle varie associazioni di categorie, professionisti, cittadini comuni e persino editori che sanno solo chiedere l’intervento dello Stato, che però vogliono lontano dai loro affari. Vorrei ricordare la celebre frase di J.F. Kennedy: “Non chiedete cosa può fare l’America per voi, piuttosto chiedetevi cosa potete fare voi per l’America”. E allora, rivolgerei a tutti gli italiani che proclamano di amare il proprio Paese, non chiediamo cosa può fare l’Italia per noi, ma chiediamoci cosa possiamo fare noi tutti, per il nostro Paese.
Mentre passeggio in questa cittadina del Nord, vedo un negozio di giornali, con un articolo ingrandito e attaccato alla porta d’ingresso. È l’intervista al titolare, che racconta come si sia appassionato a estendere il piacere della lettura ai suoi concittadini. “La nostra comunità – racconta volentieri – legge poco, come succede ovunque, allora, la incuriosisco con giovani attori che leggono alcune pagine di un libro; poi chiedo ai presenti che emozioni hanno avuto. Abbiamo iniziato a vederci in tre o quattro, poi il numero si è ampliato. I giovani? Qualcuno viene, ma pochi. Quelli attaccati ai loro smartphone sono adolescenti di clausura difficili da stanare, ma qualcosa m’inventerò”.