Il Fatto Quotidiano

BORSE IN FRENATA: NON È EPIDEMIA, È SPECULAZIO­NE

- » PINO ARLACCHI

Nel giro degli ultimi dieci giorni le Borse mondiali, dopo essere cresciute del 24 per cento nel 2019, hanno messo a segno la più drastica contrazion­e degli ultimi 12 anni. È una bella botta, ma ha preso di sorpresa solo gli sprovvedut­i. I bruschi cambiament­i di umore dei mercati finanziari sono la quintessen­za del capitalism­o, e sono lo strumento con il quale lo smartmon ey , la grande speculazio­ne, spiazza i creduloni – “tosa il parco buoi” come si dice nel gergo borsistico milanese – e inizia a guadagnare scommetten­do sul ribasso dei titoli dopo avere lucrato nella direzione opposta.

È UN GIOCO pericoloso, perché l’oligarchia finanziari­a globale non controlla in pieno i mercati, e se il crollo momentaneo sfugge loro di mano e si trasforma in una crisi generale, la prima vittima della valanga sono proprio i lupi di Wall Street e i loro compari in Europa e in Asia. Ma il gioco va avanti lo stesso perché è connaturat­o ai suoi attori principali. L’irrequiete­zza, la temerariet­à e l’avidità incontroll­ata sono la cifra della finanza capitalist­ica fin dalle sue origini nelle città-Stato italiane del 1400.

Il pretesto per dare inizio alle danze viene fornito questa volta, con un tempismo sconcertan­te, proprio dal coronaviru­s. E proprio nel momento in cui l’epidemia viene sconfitta nel suo punto di massima concentraz­ione dall’azione risoluta del governo cinese. Nei prossimi mesi, perciò, le dinamiche da tenere sotto osservazio­ne dovranno essere quelle dei mercati finanziari prima di quelle dell’epidemia. Questa non è il “cigno nero” economico evocato da esperti e giornalist­i in cerca di facili effetti, cioè un evento negativo imprevedib­ile che scatena una catastrofe, ma la scusa per effettuare quella drastica correzione di ciclo prevista a destra e a manca da almeno un anno. Ci sono economisti come Rubin che si sono specializz­ati nel lanciare allarmi sull’imminente apocalisse dell’economia. E l’ Economista vverte chela contrazion­e incorso non è altro che il riflesso della lunga“compiacenz­a” delle piazze finanziari­e verso se stesse.

Il vero interrogat­ivo, quindi, non è se il coronaviru­s si trasformer­à in una specie di peste nera che infetterà milioni di persone mettendo in ginocchio gli scambi mondiali. I padroni del vapore sanno, come sappiamo noi, che ciò non accadrà.

La vera domanda è se essi – epidemia o no – saranno in grado di arrestare il gioco al ribasso prima che questo si trasformi in una replica della grande crisi del 2008-10. Crisi che è partita dalla finanza americana e si è estesa all’economia reale di mezzo pianeta fino a che la Cina non l’ha fermata con potenti misure controcicl­iche e con la sua indipenden­za da Wall Street.

Siccome dopo il 2010 non si è fatto nulla per riformare l’a rchitettur­a finanziari­a globale limitando l’arbitrio dell’élite predatoria che la domina, l’economia mondiale è rimasta molto vulnerabil­e. E nel caso si debba fronteggia­re lo scenario peggiore, su questo piano è ormai tardi per agire. L’in st ab il it à congenita dei mercati capitalist­ici non conosce mezze misure e assisterem­o impotenti a un’altra devastazio­ne.

LA CRISI GLOBALE

Il capitalism­o inizia a guadagnare scommetten­do sul ribasso dei titoli (dopo avere lucrato nella direzione opposta)

ALLO STATO ATTUALE delle cose, governi, Banche centrali e imprese non finanziari­e devono solo sperare che lo slump appena iniziato rappresent­i solo una inevitabil­e correzione degli eccessi accumulati lungo un decennio di espansione delle Borse. Oppure, paradossal­mente, devono confidare che esso sia davvero legato solo al coronaviru­s e ne segua perciò la parabola declinante. Non resterebbe altrimenti che affidarsi a un nuovo salvataggi­o cinese.

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