Bruxelles salva l’Italia sugli aiuti di Stato a Tirrenia e avvia la batosta per Onorato
Per la Commissione Ue vanno recuperati solo 15 milioni
Dei
2,3 miliardi di euro di aiuti di Stato concessi fra il 1992 e oggi alla compagnia armatoriale di bandiera Tirrenia, solo 15 milioni di euro dovranno essere recuperati dall’Italia. Lo ha stabilito la Commissione europea chiudendo il filone principale (ne resta aperto uno minore sui collegamenti regionali) di un’indagine durata 9 anni. Per il periodo 1992-2008 Bruxelles ha riconosciuto l’illegittimità di un’infinitesima parte (1 milione di euro) di quanto pagato dallo Stato (oltre 1,5 miliardi) per l’espletamento di servizi marittimi.
SECONDO le normative comunitarie, dal 2009 Tirrenia avrebbe dovuto essere privatizzata. L’Italia tergiversò per tre anni e solo nel 2012 CIN (controllata da Moby, gruppo Onorato) acquisì la compagnia (i suoi asset: navi, personale, slot e sovvenzioni, mentre i debiti rimasero allo Stato). Anche per il periodo 2009-2020 la Commissione non ha però rilevato problemi, né per le sovvenzioni versate (846 milioni di euro) né per le modalità di privatizzazione, eccependo solo su voci minori, per un totale di 14 milioni di euro di aiuti illegittimi. Anche in questo caso, comunque, non essendoci secondo l’Antitrust europeo
“continuità economica tra Tirrenia e il suo acquirente CIN”, il recupero dell'aiuto incompatibile chiesto all’Italia sarà una partita di giro, dato che lo Stato dovrà rivolgersi alla bad company rimastagli in pancia. La decisione di Bruxelles, positiva per l’Italia, potrebbe però esser fatale a Vincenzo Onorato. CIN infatti deve ancora allo Stato 180 milioni di euro dei 380 pattuiti per l’acquisizione di Tirrenia. Di questi, 115 afferiscono a rate scadute (nel 2016 e 2019, l’ultima nel 2021), non saldate da Onorato per una clausola della privatizzazione che gliel’avrebbe consentito fino all’esito dell’indagine di Bruxelles.
I COMMISSARI straordinari della bad company, fra i quali il Governo Renzi volle Beniamino Caravita di Toritto, avvocato di Onorato (finanziatore di Open), solo a fine 2018 portarono CIN in tribunale per chiedere il congelamento dei beni della società, intanto alleggerita da distribuzione di riserve e dividendi. La procedura è pendente ma il verdetto della Commissione rende ora esigibile il pagamento dei 115 milioni. I commissari tuttavia vogliono “aspettare il testo integrale della decisione prima di ulteriori valutazioni”. E Moby si è ovviamente detta disponibile a ricercare con loro “una soluzione compatibile nell’ambito del percorso di risanamento in atto”. Il tempo però non è secondario. La crisi di Moby si è infatti aggravata al punto che un mese fa è stata sospesa la restituzione dei finanziamenti di banche (260 milioni) e obbligazionisti (300 milioni). I creditori, secondo Onorato, avrebbero dato il placet, ma ora che lo Stato potrebbe unirsi a un concordato con 180 milioni di crediti, il quadro cambia. E non essendo stato ancora depositato un piano di ristrutturazione a proteggere il gruppo, è da vedere che i creditori, in primis i fondi che hanno acquisito i bond al 30% del valore, non accelerino già da oggi il tentativo di aggredirne i beni.