Il Fatto Quotidiano

Riecco Benvegnù: “Scrivo da sempre la stessa canzone”

- » DILETTA PARLANGELI

Piedi per terra per sentire le radici e poi via, sparati nell’iperuranio a velocità supersonic­a. Paolo Benvegnù lo riconosci sempre, dalla prima strofa presa bassa, profonda, tonante. Le parole scandite bene. Dell’odio dell’innocenza, da leggersi rigorosame­nte senza virgole, né pause, è il nuovo disco in us c i t a i l 6 marzo (Black Candy Produzioni). “Un titolo paradossal­e”, spiega il cantautore, perché “l’obiettivo è andare al centro delle cose, ovvero d el l’amore e della colpevolez­za”.

COSÌ SI SROTOLA l’album, come una continua lotta tra ciò che è concreto e visibile (l’odio) e ciò che risulta insondabil­e (la purezza). Così Gli animali di superficie prendono a schiaffi e morsi L’infinito e quel che ne rimane, sono Pietre. Il silenzio è la verità, canta Benvegnù, ed è lì che sembra far molto rumore la presa di coscienza più umana: non si può controllar­e tutto. E anzi, ciò che ci sembra di conoscere, spesso è tutt’altro. “Dopo aver dominato sommariame­nte questo pianeta nel visibile, possiamo dire di controllar­lo? – chiede lui – Forse, ma non in tutto. Lo dimostrano questi giorni di cronaca: non essendo dominabile, ne abbiamo un timore immenso”.

Per sviscerare ciò che controllab­ile non è, Benvegnù non sceglie nuove lingue– alla Tha Supreme, per intendersi –, anzi: indugia in quella che conosce, auto definendos­i “verboso”. “Nessun compiacime­nto, ma presa di coscienza – risponde –. Sono ‘verboso’ rispetto all’oggi, sono un passaggio tra mondi antichi e questo, che comprendo relativame­nte”.

Qualche anno fa, l’artista teorizzava un tale meccanismo della discografi­a italiana, “la legge della supposta”, cioè quella per cui lui, in un percorso che partiva dal basso, fosse ancora considerat­o un esordiente, all’alba dei cinquanta (è del 1965). Ora “la situazione è cambiata – ammette –, c’è un grande sciabordio di nuove idee”. Idee, che distingue dalle “int u iz i o ni ”: “Non vedo nuovi Elio Petri o Piero Ciampi, ma i nuovi Zanicchi e Celentano”. Scorge una mancanza di senso non riconducib­ile a una scelta artistica. Per spiegarlo, tira fuori un’altra “le g g e ”: “Si a m o nella sindrome della giovane adolescent­e che ha il compagno di classe bellissimo, che non parla mai. Nel guardarlo pensa ‘oh, ma cosa ci sarà lì dentro?’. Non c’è niente! Te lo

MALA TEMPORA

“C’è un grande sciabordio di idee. Ma non vedo in giro nuovi Elio Petri o Piero Ciampi, semmai neo Zanicchi e Celentano”

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