Mollica, la pensione di un critico popolare
Anche se con qualche carrambavirus di troppo, ha fatto bene Mara Venier a festeggiare Vincenzo Mollica. Ci voleva la pensione per consacrare una popolarità conquistata in quarant’anni di interviste e servizi sul mondo dello spettacolo, e questa consacrazione possiamo considerarla una forma di risarcimento per l’affetto e i superlativi spesi, nessuno escluso (parliamo dei superlativi). Dacci oggi il nostro capolavoro quotidiano; anche quando nel suo cuore poteva avere qualche dubbio,
Mollica non ha mai fatto differenze. Adesso va in pensione a testa alta, ma la Venier ha ragione, abbiamo ancora bisogno di lui, perché non lascia eredi, e non per sua colpa. Se in Rai da sempre “la critica è una parola astratta” ( copyright Sergio Saviane); se in compenso oggi abbiamo tanti critici di ogni materia quanti sono i blogger (circa 60 milioni in Italia), le cronache di cultura e spettacolo sono in caduta libera ovunque, dai quotidiani ai tg. Abbiamo avuto i mezzibusti letterari come Luciano
Luisi, poeta in proprio, che si faceva largo in giacca crema nella bolgia del buffet di Villa Giulia per arpionare i finalisti dello Strega; abbiamo avuto i mezzibusti dandy come Lello Bersani, in smoking, microfono e brillantina, beato tra i divi del cinema, quando il cinema era il cinema. Poi abbiamo avuto Vincenzo Mollica, che per decenni ha coperto tutto e tutti con munifica universalità papale (lo abbiamo scritto e lo ripetiamo: Mollica, un pezzo di pane). Ma ora? Non ci resta che Marzullo.