Lo svarione del “Corsera” sulla Rc Auto
▶LEFRODI
sono una cosa brutta, è un fatto noto. Ancorché rimanga il dubbio, a voler parafrasare Bertolt Brecht, se sia un crimine maggiore frodare un’assicurazione o fondarla, la bruttezza dell’imbrogliare ci è stata ricordata lunedì dalla rubrica “Data Room” di Milena Gabanelli sul Corriere della Sera. La tesi è nota ed è proprio quella delle assicurazioni riunite nell’Ania, la Confindustria del settore: la Rc auto in Italia costa tanto perché ci sono le frodi. A parte citare alcuni episodi che confermano la natura truffaldina degli italiani – ad esempio il tizio di Avellino investito sei volte in un minuto che però pare non sia parente del “tizio di Livorno che ne faceva 12 in un giorno” di Franco Califano – il lungo articolo ci presenta anche la pistola fumante: “Nell’ultimo rapporto Ivass del 2018 i sinistri non liquidati, perché potenzialmente fraudolenti, sono aumentati dell’11% rispetto al 2017. Si sono verificati oltre 2,8 milioni di sinistri, e il 22% sono a rischio frode, al Sud addirittura il 37%”. Il 22% di 2,8 milioni di incidenti... accipicchia! Ora, a parte che in Italia il numero dei sinistri diminuisce da anni con la stessa pervicacia con cui aumenta il prezzo della Rc auto (in media circa il 25% in termini reali in neanche vent’anni), c’è un problema: quel 22% di “a rischio frode” è un’ipotesi delle società di assicurazioni, che poi – nelle stesse tabelle riprese dall’Autorità di controllo e citate da Data Room – ci spiegano pure che in realtà loro sottopongono ad “approfondimento” solo il 13% del totale dei sinistri (364mila). Perché se pure gli altri sono sospetti? Non si sa. Va bene, ma che succede a quelli “approfonditi”? Che i sinistri “senza seguito” - cioè non pagati per i più vari motivi – nel 2018 sono stati circa 54mila, cioè l’1,9% dei 2,8 milioni di sinistri totali. Tutti denunciati per frode? Ma quando mai: le querele sono state circa 2.200, vale a dire lo 0,6 % sul totale degli incidenti. Messa così fa un po' meno rumore, certo, e magari tocca ricordarsi che cinque società in Italia controllano ben oltre il 70% del mercato Rc auto: ma non era la concorrenza a favorire l’abbassamento dei prezzi?