Più che gestore, lo Stato sia un regolatore severo
Autostrade alle ferrovie, serve concorrenza con più bandi e su lotti minori
La vicenda Autostrade, ma anche quella degli incidenti ferroviari di Lodi e Pioltello suggerisce una riflessione sui poteri pubblici nella gestione delle infrastrutture. Lo Stato sembra poco efficiente come regolatore di concessionari, ma anche come gestore (si pensi alla viabilità ordinaria). Occorre un minimo di teoria per spiegare il problema: le infrastrutture sono “monopoli naturali” per i quali il libero mercato non può funzionare. Rimangono due alternative: o si affidano in concessione o le gestisce lo Stato. Nel primo caso deve controllare che il concessionario sia efficiente e non derubi utenti o contribuenti.
La gestione diretta tende storicamente a non funzionare: nella sfera politica prevalgono gli obiettivi di consenso su quelli di efficienza. Si tende ad avere troppo personale, a essere di manica larga con i fornitori, a non avere incentivi adeguati per innovazioni tecniche. Rimangono allora le concessioni e diviene essenziale la funzione pubblica di “regolazione” che a sua volta dovrebbe far capo ad Autorità indipendenti: in Italia esistono, ma per le infrastrutture alcune non sono abbastanza indipendenti e ad altre non sono stati dati poteri sufficienti.
LE CONCESSIONIdevono poi durare il minimo possibile e riguardare dimensioni economiche che siano le minori possibili. Perché Autostrade ha fatto quel che voleva e la rete ferroviaria fa quel che vuole? Perché sono realtà con dimensioni tali da poter condizionare i loro regolatori. La prima ha il 60% del mercato, la seconda il 90%. Davide e Golia: le norme non pesano più della carta su cui sono scritte.
Nelle infrastrutture di trasporto “a rete” (strade e ferrovie) occorre abolire le concessioni autostradali eterne e dedicate sia alla gestione che alla manutenzione che alle nuove costruzioni. Essendo le autostrade già tutte ammortizzate con i soldi degli utenti, il pedaggio è ormai una tassa iniqua e arbitraria e va mantenuto solo in un’ottica di riduzione della congestione. Rimangono la costruzione di qualche tratta nuova, la manutenzione, e l’esazione dei pedaggi di congestione: attività da mettere in gara periodica con bandi modesti e ripetuti armonizzando pianificazione e gestione di tutta la rete.
La rete ferroviaria è tecnicamente ben più complessa (stazioni, centri merci, energia elettrica, sistemi di controllo, ecc.). Oggi è un sistema “verticalmente integrato” con i servizi ferroviari, mentre non ce n’è alcun bisogno, anzi. Basta vedere tre esempi chiarissimi: l’Alta Velocità, dove l’avvento della concorrenza ha abbattuto le tariffe; le merci, ormai al 50% private; il caso tedesco per i pendolari, dove a parità di servizi lo Stato ha risparmiato il 20% mettendoli a gara. La rete non va privatizzata, ma la gestione va messa a gara, e non in blocco. Ad esempio per quattro tranches (nord, centro, sud e isole). Il Giappone è un ottimo esempio e persino un ministro italiano dell’economia, Padoan, aveva accennato, prima di essere zittito, alla possibilità di una ipotesi simile. Il controllo potrà essere pubblico. Ma questi sono sogni: in Italia, dove la parola “concorrenza” è uscita dal dibattito politico.