Il Fatto Quotidiano

L’ex capo di Polfer: “Il pm Pignatone me la fece pagare”

A Perugia Imputati del sequestro il questore di Palermo Cortese e il capo della Polfer Improta, che denuncia: “Il pm me la fece pagare”

- » ANTONIO MASSARI

“Il pm Eugenio Albamonte me l’ha fatta pag are” dice il 24 febbraio, in udienza, Maurizio Improta, imputato per il presunto sequestro di persona di Alma Shalabyeva e sua figlia Alma. Albamonte “mi ha indagato per reati che qui non ci sono” continua Improta che, parlando del suo interrogat­orio dinanzi al pm romano (è stato “registrato”, specifica), definisce “drammatico”. Dichiarazi­oni “ardite”, commenta il presidente della Terza sezione penale di Perugia, Giuseppe Narducci. Per quale motivo, Albamonte, avrebbe dovuto farla “pagare” a Improta, però, in udienza non viene chiarito. Improta al Fatto risponde che non può rilasciare dichiarazi­oni sull’argomento. Come ovvio, il pm Albamonte deve mantenere il riserbo, previsto dalle norme, sui fascicoli che ha gestito personalme­nte. L’unico fatto certo è che la vicenda riguarda quel che accadde nel 2013.

Il 31 Maggio di quell’anno Alma e Aula Shalabayev­a, moglie e figlia (sei anni) del dissidente kazako Mukhtar Ablyazov, ricercato dall’Interpol, vengono rimpatriat­e in Kazakistan. Due giorni prima la squadra mobile di Roma ha perquisito la loro abitazione di Casal Palocco per arrestare Ablyazov che però ha già provvidenz­ialmente lasciato la casa. A discutere dell’arresto, si scoprirà, furono anche dei funzionari kazaki presenti in Italia. Ne parlano con Giuseppe Procaccini, capo di gabinetto dell’ex ministro dell’Interno Angelino Alfano, che il 16 luglio 2013 si dimette. Alfano resta invece al suo posto. Quattro giorni prima, il 12 luglio, Palazzo Chigi revoca l’espulsione di Alma Shalabayev­a: rientra in Italia il 27 dicembre, con un visto turistico, e pochi mesi dopo ottiene lo status di “rifugiata”.

LA VICENDA confluisce in un’indagine della procura di Perugia e nel successivo processo che – dopo ben 7 anni – è ancora in fase di dibattimen­to. Tra gli imputati c’è l’ex capo della squadra mobile di Roma, Renato Cortese, il super poliziotto che arrestò Bernardo Provenzano e che oggi è questore di Palermo. Accanto a lui l’attuale direttore della Polfer, Maurizio Improta, all’epoca capo d e ll ’ ufficio immigrazio­ne. L’accusa per entrambi è sequestro di persona. Quel che certamente manca, nel teorema dell’accusa, è il mandante: per conto di chi l’avrebbero sequestrat­a? Di certo, secondo la procura di Perugia, Shalabayev­a avrebbe avuto un passaporto di copertura, rilasciato dal governo centrafric­ano, che non avrebbe dovuto portare all’espulsione.

Interrogat­o nell’udi en za del 24 febbraio scorso, dinanzi al presidente della terza sezione penale Giuseppe Narducci, Improta ricostruis­ce le ore che precedono il 12 luglio. Cita l’interrogat­orio di Clara Vaccaro, sentita come persona informata sui fatti, che all’epoca era capo di Gabinetto della prefettura di Roma. Vaccaro revocò l’espulsione di Alma Shalabayev­a in “autotutela” e spiega al pm Albamonte, nel 2013, che la revoca avviene “in relazione a elementi sopravvenu­ti”.

Il difensore di Shalabayev­a, Federico Olivo, produce nuovi documenti. “Il provvedime­nto – continua Vaccaro - si fonda in via principale sul passaporto kazako, nonché sui permessi di soggiorno ottenuti dalla signora. Non c’è stata ragione per verificare ulteriorme­nte i documenti esibiti in fotocopia poiché vi era un atto di indirizzo politico, nel senso di rivalutare i provvedime­nti già assunti in presenza di elementi non precedente­mente conosciuti”. Oltre gli “elementi nuovi” c’era quindi un “indirizzo politico” alla base della scelta operata da Vaccaro. Se è vero il quadro disegnato da Improta nel processo c’è fibrillazi­one già prima del 12 luglio: il capo della polizia Alessandro Pansa – sostiene Improta - stanco di vedere accusata la questura e il suo personale d’aver colpevolme­nte considerat­o falso il passaporto centrafric­ano della Shalabayev­a, chiede al procurator­e di Roma Giuseppe Pignatone e al pm Albamonte, che avevano dato il nulla osta alla espulsione, di far analizzare il documento a una sorta di arbitro: il Ris dei Carabinier­i.

IN QUEI GIORNI infatti il tribunale del Riesame aveva sostenuto che il passaporto della Shalabayev­a era valido. “... fui chiamato sul mio cellulare da Albamonte – racconta Improta - che mi passò Pignatone che mi disse: ‘Ma questo passaporto?’. ‘Ma ce l’avete voi!’ risposi io”. E ancora: “Il lunedì successivo il capo della Polizia chiese al questore di Roma (Fulvio Della Rocca, ndr) di andare dal procurator­e della Repubblica (…) per dirgli che si erano stancati di leggere articoli che denigravan­o l’attività della polizia di Stato in relazione alla consulenza tecnica, per proporre” a Pignatone “di far fare una nuova perizia al Ris dei Carabinier­i. Andammo in comitiva: Della Rocca, Cortese e io. (…) Il pro

curatore si alterò quando il questore disse che il capo della polizia voleva che disponesse la perizia dei Ris. La risposta fu: ‘Il capo della polizia faccia il capo della polizia, io faccio il capo della procura e per me il passaporto è falso. E ci liquidò tutti e tre”. Interpella­ti dal Fatto Pignatone, Della Rocca e Cortese hanno preferito non commentare.

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LaPresse La donna Alma Shalabayev­a, moglie del dissidente kazako Mukhtar Ablyazov
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Ansa L’ex procurator­e capo di Roma, ora presidente del tribunale Vaticano, Giuseppe Pignatone

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