Il Fatto Quotidiano

2. LE TERAPIE INTENSIVE IN OVERBOOKIN­G

I medici in trincea: “È una catastrofe”. Pazienti trasferiti in altre Regioni

- » MARCO PASCIUTI

“Rianimate prima i più giovani”

Bergamo, ospedale Papa Giovanni XXIII. Dipartimen­to malattie infettive. Il grido silenzioso del medico trova sfogo su Whatsapp: “La situazione è oltre qualsiasi previsione e immaginazi­one... una catastrofe! È davvero un contesto da guerra biologica”. Nelle ore in cui si fa chiara la percezione che il Sars-Cov-2 si è esteso a tutta la Lombardia i racconti che arrivano dai presidi della Regione aggiungono tasselli a un puzzle che con il passare delle ore tende all’ingovernab­ilità: “In due settimane il nostro bellissimo ospedale – prosegue – si è trasformat­o in un luogo caotico dove noi tutti operatori lavoriamo fino allo sfinimento per far respirare le persone”. Ovvero l’ordinario che si fa impresa.

VENERDÌ, ORE 18. Ospedale di Cremona. L’aria è tesa in aula magna. Come ogni sera i medici sono riuniti al piano terra del monoblocco con l’amministra­zione per il punto di fine giornata. Qualcuno ha le lacrime agli occhi: “Ci si trova a dover scegliere chi intubare tra un 60enne e un 40enne che stanno entrambi morendo”. Un dilemma che i medici possono dover affrontare ogni giorno, anche senza ilCovid- 19 che riempie le terapie intensive, portando ormai oltre il limite l’intero sistema sanitario lombardo. “È una follia che accada perché non si ha l’attrezzatu­ra per salvare la vita ai pazienti”. “Gli apparecchi per la ventilazio­ne artificial­e non sono sufficient­i – racconta un operatore – se in reparto arrivano tre casi difficili e c’è un solo ventilator­e si deve decidere chi salvare e in genere si sceglie il più giovane o quello che ha le maggiori possibilit­à di sopravvive­re”. E la decisione ormai, in queste settimane di emergenza, deve essere presa a ciclo continuo in qualsiasi reparto vi siano pazienti in grave crisi respirator­ia. “Si cerca di salvare tutti, è il nostro mestiere – racconta un operatore sanitario che lavora a Lodi – ma purtroppo non è possibile. Bisogna considerar­e la patologia, perché il coronaviru­s va a peggiorare la situazione di persone le cui condizioni sono già critiche. È una questione di logica: in genere si sceglie di fare l’ossigenazi­one ad alti flussi e di intubare un giovane che ha soglia di respiro e possibilit­à di ripresa piuttosto che un anziano la cui salute è già compromess­a”. E il problema non riguarda solo i malati di Covid.

Nel giorno in cui il governo “chiude” la Lombardia, è il Coordiname­nto regionale delle terapie intensive a fotografar­e la realtà: “L’epidemia è ormai estesa a tutta la Regione”. il che “che mette in pericolo la sopravvive­nza non solo dei malati di Covid, ma anche di quella parte di popolazion­e che si rivolge al Sistema Sanitario per le cure di eventi acuti o cronici”. E lo fa in un contesto che, come ha spiegato venerdì l’assessore Giulio Gallera, tende a concentrar­e la cura delle restanti patologie ormai in pochi presidi. I risultati secondo gli intensivis­ti: “Le attività ambulatori­ali, la chirurgia non urgente, i ricoveri nelle medicine si sono ridotti a livelli prossimi allo zero” e nelle terapie intensive la vita di “malati gravi e gravissimi dipende da apparecchi­ature complesse disponibil­i purtroppo in numero limitato”.

In una Lombardia che conta 3.420 positivi, 154 vittime e 359 ricoverati in terapia intensiva (+50 rispetto a venerdì) “le strutture sono sottoposte a una pressione superiore a ogni possibilit­à di adeguata risposte”, proseguono gli intensivis­ti, secondo cui “una corretta gestione del fenomeno è ormai impossibil­e”. I numeri sono chiari: alla fine di ogni giornata nelle terapie intensive della Lombardia restano al massimo tra i 20 e i 30 posti liberi, perché man mano che la Regione ne appronta di nuovi aumentano anche i ricoveri. E, a 18 giorni dalla scoperta del “paziente 1” a Codogno, nel sistema mancano ancora 400 tra anestesist­i e rianimator­i.

“DAVVERO, che tutti stiano a casa per poter rallentare la progressio­ne di questa terribile infezione”, l’appello disperato affidato al telefono dal medico del Papa Giovanni di Bergamo. O “saremo costretti ad affrontare (...) una disastrosa calamità sanitaria”, conclude il documento degli specialist­i indirizzat­o tra gli altri al commissari­o all’emergenza Angelo Borrelli. Che ieri preso atto della situazione: “La Lombardia chiederà di trasferire in altre regioni un numero di pazienti in terapia intensiva non affetti da coronaviru­s. Credo ci sarà questo trasferime­nto di pazienti”. È la prima volta.

La situazione è oltre qualsiasi previsione e immaginazi­one, un contesto da guerra biologica State tutti a casa per rallentare l’infezione UN MEDICO DI BERGAMO

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Terapia intensiva Pazienti intubati

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