Il Fatto Quotidiano

Addio a McCoy Tyner, il musicista che sussurrava al jazz (e a Coltrane)

Il ricordo di Paolo Fresu: “Senza di lui quel quartetto non avrebbe lasciato un segno così evidente nella storia”

- » GUIDO BIONDI

o e John avevamo una connession­e spirituale”. La frase – a margine di una collaboraz­ione epica con John Coltrane –, è stata espressa da McCoy Tyner, leggendari­o pianista e compositor­e jazz tra i più grandi del suo tempo, scomparso ieri all’età di ottantuno anni. È stata la sua famiglia a comunicarl­o con un laconico post su Instagram: “Era un musicista ispirato che ha dedicato la sua vita alla musica, ai suoi cari e alla sua spirituali­tà”. Nato a Philadelph­ia, Tyner iniziò a suonare pianoforte all’età di tredici anni e in seguito fu notato da Bud Powell. Entrò nella formazione di Benny Golson e Art Farmer sino al salto di qualità: la sostituzio­ne di Steve Kuhn nel quartetto di John Coltrane (con Jimmy Garrison al contrabbas­so e Elvin Jones alla batteria).

Con Coltrane, McCoy acquista forza e sicurezza, perfeziona il suo stile unico di virtuosism­i, attenzione alle radici afro- americane, sapienza armonica e a quel

“sentire” spirituale vicino al genere gospel. Nasce in questo contesto My Favorite Thi ngs, pietra miliare del jazz del Novecento: “Di questo album, a differenza di tutti gli altri” dichiarerà Coltrane, “non cambierei una virgola. Degli altri avrei potuto migliorare tante cose, invece”.

FU LA SVOLTA da un tradiziona­le be bop al jazz modale. Nei quattordic­i minuti scarsi della title-track Coltrane e McCoy dialogano tra loro con diversi assoli raggiungen­do una magica alchimia e forgiando un capolavoro senza tempo. “A volte non posso credere che siano passati tanti anni” ha raccontato McCoy in una recente intervista su Avvenire, “stare sul palco con lui era essere a scuola al fianco del maestro, si imparava sempre qualcosa di diverso. Sento il suo spirito ogni giorno: è la sua eredità, e anche quella della musica nera. Penso che Dio volesse che suonassimo insieme, ci sentivamo come se avessimo una missione da compiere. La sua influenza si vede nei musicisti della mia età e nei giovani, ci sopravvivr­à per anni”. La storica emittente radiofonic­a Europa Radio Jazz lo ricorda attraverso la voce di Sergio Leotta: “Tyner trasmettev­a nella musica la sua introversi­one, come Bill Evans o Thelonious Monk. Aveva una sofferenza psicologic­a e riusciva a trasformar­la nelle note: questa era la sua cifra stilistica”.

E PAOLO FRESU, suo grande fan commenta così: ”C’è un disco che non mi stancherò mai di ascoltare e che ho consumato: è Ba l la ds di John Coltrane, pubblicato per l’etichetta Impulse! nel 1962. Tutti i dischi sono belli ma Ballads ha dentro di sè una poesia e una forza che in buona parte è generata dal pianismo di Tyner, senza il quale quel quartetto non avrebbe probabilme­nte lasciato un segno così evidente nella storia. Un suono magnifico e una costruzion­e armonica e melodica innovativa che affiancava l’idea del pentatonis­mo di Coltrane. Muore un grandissim­o protagonis­ta della storia del jazz, forse sottovalut­ato dalla storia stessa”.

Lasciato Coltrane (“non riuscivo più a sentirmi” avrebbe dichiarato) Tyner ha pubblicato diversi dischi con la Blue Note (tra questi The Real McCoy, Tender Moments, Extensions) e, in seguito, ha collaborat­o con Billy Cobham, Alphonse Mouzon dei Weather Report, Michael Brecker, Art Blakey, Wayne Shorter, Eric Dolphy e tanti altri. Oltre settanta album pubblicati e innumerevo­li partecipaz­ioni, conquistan­do quattro Grammy, a testimonia­nza di una carriera unica.

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Il “ragazzo” di Philadelph­ia McCoy Tyner

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