Il Parlamento vota senza gli eletti delle zone rosse
Camera e Senato, domani in aula lo scostamento di bilancio: nessuno dal Nord
Il coronavirus ha fatto prima e di più: senza nemmeno bisogno di attendere il referendum sul taglio dei parlamentari, Camera e Senato hanno deciso di riunirsi in formato mini per tentare di azzerare il rischio contagio, pur assicurando comunque il via libera della risoluzione che autorizza lo scostamento di bilancio, causa emergenza. Domani parteciperanno allo scrutinio 350 deputati ( su 630) e 161 senatori (su 321), numeri esigui che salvano il plenum richiesto della maggioranza assoluta, ma pure le distanze di sicurezza. “C’è un accordo tra i partiti di non far scendere a Roma i parlamentari eletti nelle aree rosse e arancioni, la Lombardia e le altre 14 province coinvolte dai blocchi imposti dalle autorità”, spiega al Fatto Emanuele Fiano, deputato dem eletto in Lombardia che dunque resterà a casa, a Milano.
Ma c’è pure chi non sa che fare, e che si possa finire addirittura in quarantena nel tentativo di rientrare nella Capitale: il dubbio attanaglia Stefano Buffagni del Movimento 5 Stelle, che teme la misura varata l’altro giorno dalla Regione Lazio come risposta a chi con ogni mezzo di trasporto è scappato dal Nord prima che venisse blindato.
A OGNI MODO, l’accordo che terrà lontani dal Parlamento i rappresentanti di più di 15 milioni di elettori delle aree dove il contagio è maggiore, sta bene a tutti. O quasi. Chi non lo digerisce affatto sono i quattro senatori ex pentastellati, ora nel gruppo Misto, Gregorio De Falco, Luigi Di Marzio, Elena Fattori e Paola Nugnes. Che hanno messo il loro disappunto nero su bianco per segnalare ai loro colleghi, sia a Palazzo Madama che a Montecitorio, che la “decisione sia pure dettata da buona volontà e da una situazione di chiara eccezione, è anticostituzionale e non accettabile, creando tra l’altro un precedente pericoloso”. Ma il loro appello è caduto nel vuoto, per usare un eufemismo. “Ma perché non la fanno finita? Questa è un’emergenza e non si scherza. Se gli eletti del Nord se ne stanno a casa non si verifica nessun vulnus: chi sarà in aula basta e avanza”, spiega sotto la garanzia dell’anonimato un deputato eletto al Sud, acerrimo nemico della riforma sul taglio dei seggi. Ma che ora pare rivalutare l’articolo 67 della suprema Carta (“ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”) prima di tagliare corto: “Ma per caso, De Falco e i suoi compari vogliono farci contagiare?”.
È in questo clima, scandito dai quotidiani bollettini di guerra che vengono dalla Protezione civile, che i Palazzi della politica attendono la seduta di domani dedicata al voto sul scostamento di bilancio e pochissimo altro.
Al Senato meno di due ore saranno sufficienti per approvare la relazione del governo sul piano di rientro: niente discussione generale, interventi più che contenuti e la speranza che le presenze ridotte all’osso garantiscano una promiscuità prossima allo zero nell’emiciclo e pure alla buvette a ingressi contingentati. Intorno alle 11 dovrebbe essere tutto finito perché i due disegni di legge già previsti in calendario (riguardo cefalea e funivie di Savona) sono stati rinviati. Massimo sei senatori per gruppo potranno ascoltare in aula, alle 17, la rapida informativa del ministro della Giustizia ( circa 10 minuti) sulla rivolta in alcune carceri italiane. Le commissioni sono invece sconvocate, le bicamerali sospese ed è pure slittata al 24 marzo la Giunta per le elezioni che oggi avrebbe dovuto votare sull’autorizzazione a procedere contro Matteo Salvini per il caso dei migranti trattenuti a bordo della Open Arms.
RIDUZIONE di deputati concordata e votazione in aula a blocchi per evitare al massimo il rischio contagio anche a Montecitorio, dove è prevista per questa mattina la riunione delle commissioni Bilancio Camera e Senato per l’audizione del ministro de ll’Economia, Roberto Gualtieri. Presente, ma soltanto in videoconferenza.
Ma c’è chi protesta Presenti 350 deputati e 161 senatori Quattro ex 5 Stelle: “È incostituzionale”