Il Fatto Quotidiano

Stupro: 23 anni al bastardo senza gloria Weinstein

Mazzata all’ex produttore cinematogr­afico per due reati di stupro verso Miriam Haley e Jessica Mann

- » ALESSIA GROSSI

Il prossimo 19 marzo Harvey Weinstein compirà 68 anni e passerà il primo dei suoi futuri 23 compleanni in carcere. Ne uscirà in tempo per festeggiar­e i 90, secondo la condanna infertagli ieri dal giudice di New York, James Burke, che ha stabilito per l’ex produttore cinematogr­afico quasi il massimo della pena per i due reati di cui lo scorso 24 febbraio il tribunale l’ha riconosciu­to colpevole. Stupro di primo e terzo grado ai danni di Miriam Haley nel 2006 e di Jessica Mann nel 2013. Niente attenuanti, poche concession­i. Burke non ha tenuto conto della richiesta degli avvocati di Weinstein guidati da Donna Rotunno che volevano per lui una pena minima di 5 anni per mancanza di precedenti penali, problemi di salute, presenza di giovane prole e danni già subiti dall’assistito che “dalle accuse pubblicate dal quotidiano New York Times del 2017 e le testimonia­nze trapelate durante il processo ha perso tutto, moglie compresa”.

A PREVALERE è stato l’appello di Jessica Mann: “Ho bisogno di sapere da qui ai prossimi anni, per più tempo possibile dove si trova Weinstein”. Quanto ai problemi di salute, a far presa sul giudice Burke non è bastato neanche l’intervento a cui il produttore di Pulp Fiction, è stato sottoposto subito dopo la condanna: trasferito tra un’ala sicura dell’ospedale Bellevue di Manhattan, dove è stato sottoposto a un intervento chirurgico al cuore per l’installazi­one di uno stent nell’infermeria dell’isola di Rikers, dove è rimasto fino a ieri. “Ha avuto un sacco di tempo per pensare alla sua vita ed essere umiliato, ma crede che sarà una lunga battaglia in salita a partire da ora”, aveva dichiarato la sua portavoce Juda Engelmayer al sito Page Six. “È infelice, ma cerca di essere ottimista”. Tantomeno pare sia servito mettere a verbale il suo “profondo rimorso” confessato in extremis ai giudici.

L’aula 99 del tribunale di New York, che pure il 24 febbraio non l’ha considerat­o un “predatore seriale”, ha punito Weinstein per “una vita di abusi” così come richiesto dai pubblici ministeri. Il procurator­e capo, Joan Illuzzi- Orbon, d’altra parte, ha chiesto una sentenza che corrispond­esse al suo lungo record di cattiva condotta sessuale risalente agli anni 70. “Ha costanteme­nte anteposto i suoi sordidi desideri e fissazioni sul benessere degli altri”, ha spiegato Illuzzi-Orbon.

Certamente sulla sentenza finale hanno inciso le più di mille pagine di documenti raccolti durante il processo dal tribunale penale di New York e resi pubblichi la settimana scorsa: tra questi anche uno scambio di mail tra Weinstein e un reporter del National Enquirerch­e lo avvisava che la rivista stava pianifican­do la pubblicazi­one della denuncia di aggression­e a suo carico da parte dell’attrice Jennifer Aniston. La risposta via mail del produttore è secca: “Aniston dovrebbe essere uccisa”. La protagonis­ta della serie Friends in realtà, come riportato dal suo portavoce alla rivista Variety non “è mai stata molestata o aggredita da Harvey perché lui non si è mai avvicinato ab ba st an za per toccarla e non è mai stata sola con lui”. L’anno scorso era stata la stessa Aniston a raccontare del “co mp or tamento da porco” di Weinstein durante la cena della prima di Cake. “Ricordo che ero seduta a tavola con Clive (Owen), e i nostri produttori e un mio amico. Lui venne al tavolo e disse al mio amico: ‘Alzati!’ E io pensai: ‘Oh mio Dio’. Il mio amico si alzò e Harvey si sedette. Aveva un tale comportame­nto da porco... che credeva legittimo”, aveva spiegato l’attrice.

Nel dossier del tribunale si parla anche del tentativo di Weinstein di rivolgersi agli amici influenti come Bloomberg, Bezos, Ted Sarandos di Netflix e Tim Cook di Apple non appena venne formulata l’accusa contro di lui, nel tentativo di recuperare la sua vecchia posizione, quando era ormai chiaro che il consiglio di amministra­zione della sua casa di produzione stava per metterlo alla porta. Nella mail a Bezos scrive: “Ci sono molte false accuse e nel tempo lo dimostrere­mo, ma in questo momento sono il ragazzo sui manifesti per cattivi comportame­nti”.

NON SARÀ PASSATA certo inosservat­a al procurator­e generale neanche la nota di suo fratello Bob, ex copresiden­te della Weinstein Company: “Meriti un premio alla carriera per la pura ferocia e l’immoralità degli atti che hai commesso. Oh, mi sono dimenticat­o. Erano tutti consensual­i. Allora per cosa sei in riabilitaz­ione? Dipendenza dal sesso. Non la penso così. Non avresti subito accuse di molestie, aggression­i e stupri che hai ricevuto da 82 donne per sesso consensual­e”. E non è certo per sesso consensual­e, casomai proprio per la sua ferocia che il produttore più famoso di Hollywood sarà affidato agli ingranaggi del sistema penitenzia­rio dello Stato di New York. Verrà portato in un centro di accoglienz­a a Fishkill,

New York, per l’“elaborazio­ne” della sentenza, e poi trasportat­o in una prigione dello Stato. Sarà quindi costretto sottoporsi a un procedimen­to che accerti che non sia incline al suicidio, e sarà seguito molto da vicino, dopo che il finanziere accusato di traffico di donne, Jeffrey Epstein, si è ucciso in una prigione federale a Manhattan e visto che lo stesso Weinstein ha indicato di avere pensieri suicidi. I suoi avvocati hanno già contestato la condanna e dichiarato che presentera­nno richiesta di appello. Ma non è finita. A Los Angeles va avanti il procedimen­to penale contro Weinstein per altri due episodi di presunte violenze sessuali nel 2013 e sono diverse le donne che continuano a presentare accuse contro di lui, sotto l’ombrello del #MeToo.

Difesa delusa

I legali del moghul avevano chiesto una condanna minima per problemi di salute

Meriti un premio alla carriera per la ferocia e l’immoralità degli atti che hai commesso. Oh, mi sono dimenticat­o: erano tutti consensual­i 2017

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Harvey Weinstein in tribunale a New York. In alto, Miriam Haley e Jessica Mann, due delle donne che hanno denunciato le violenze
Ansa Senza scampo Harvey Weinstein in tribunale a New York. In alto, Miriam Haley e Jessica Mann, due delle donne che hanno denunciato le violenze
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