Il Fatto Quotidiano

1960, l’anno d’oro dei film italiani: da Fellini a De Sica

Fellini, Visconti, Comencini, Antonioni, De Sica: 12 mesi di bellezza

- » ANNA MARIA PASETTI

Fellini, Visconti, Antonioni, De Sica. E ancora Comencini, Bolognini e Pontecorvo. Per non parlare di Pasolini in veste di sceneggiat­ore e, naturalmen­te, di personaggi e interpreti diventati icone di un’I t al i a che stava mutando pelle: Marcello Mastroiann­i, Sophia Loren, Alberto Sordi, Monica Vitti, Claudia Cardinale, Alain Delon. Il tutto travolto da un’ondata irripetibi­le e indimentic­abile di riconoscim­enti internazio­nali fra Oscar, Palme e Leoni d’oro e d’argento. Quando si dice stato di grazia del cinema italiano è lecito pensare al 1960, un concentrat­o di opere maestre fatte da Maestri, cometa incandesce­nte di talenti reciprocam­ente ispirati nell’età d’oro di produttori illuminati. Imprendito­ri, magnati, filantropi, editori che portavano i nomi di Angelo Rizzoli, Dino De Laurentiis, Giuseppe Amato, Alfredo Bini, Cino Del Duca, Franco Cristaldi, Goffredo Lombardo e Carlo Ponti hanno saputo selezionar­e, incoraggia­re e sostenere – ciascuno a proprio modo e spesso in condizioni complesse – lavori destinati alla Storia, e non solo del cinema.

SCANDITO dalle uscite in ordine cronologic­o di sette titoli, un ideale percorso lungo il 1960 può partire subito dall’alto, da quell’opera ritenuta fra i simboli italiani nel mondo, La dolce vita di Federico Fellini. Palma d’oro a Cannes, uscito il 3 febbraio con immediato successo di pubblico (ad oggi resta al 6° posto nella classifica dei film nazionali più visti di sempre al cinema) e prevedibil­i divisioni per la critica dell’epoca, è il classico esempio di cinema espanso a fenomenolo­gia, simbolo e sintomo di uno zeitgeist di un artista figlio del suo tempo ma che quel tempo ha anche contribuit­o a definirlo. Impossibil­e giustifica­re sintesi su La dolce vita così come su Fellini, al suo centenario in corso, meglio fissarne l’iconografi­a e la musica (di Nino Rota) assolute, con Flaiano, Pinelli, Rondi e lo stesso regista in sceneggiat­ura e con due nomi – Marcello Mastroiann­i interprete e Pier Paolo Pasolini in scrittura ma non accreditat­a – ad accompagna­rci verso il titolo a seguire, Il bell’Antonio di Mauro Bolognini. È il grande intellettu­ale e poeta a siglare infatti la sceneggiat­ura del miglior film di Bolognini tratto dall’omonimo romanzo di Vitaliano Brancati. Uscito il 4 marzo, il melodramma sull’impotenza a più livelli mette in campo un dolente Marcello Mastroiann­i che si trovò a sfidare se stesso nella cinquina da protagonis­ta ai David di Donatello, vincendo però per La dolce vita. L’opera infonde nel suo protagonis­ta una profonda incapacità di comunicare e sembra dialogare con quello destinato a diventare uno dei manifesti dell’incomunica­bilità nel cinema, L’avventura di Michelange­lo Antonioni. Dotato di uno dei finali geometrica­mente più essenziali e perfetti della Storia del cinema, il film Prix du Jury a Cannes e primo capitolo della “trilogia esistenzia­le” del cineasta ferrarese uscì il 29 giugno e aprì la folgorante carriera di una giovane Monica Vitti dentro a un ruolo divenuto paradigmat­ico della complessit­à femminile. E concentrat­o su una donna è anche

Kapòdi Gillo Pontecorvo, nelle sale il 29 settembre, e candidato all’Oscar come film straniero nel ’61. Pellicola controvers­a, non memorabile, ma rigorosa nel suo descrivere la tragica parabola di una giovane ebrea deportata in un lager, segnò il filone “d’annata” dei drammi ambientati durante la Seconda guerra mondiale accanto alla commedia amara Tutti a casadi Luigi Comencini uscita il 27 ottobre, e al noto La ciociara di Vittorio De

Sica nelle sale il 22 dicembre. Sostenuta da una sceneggiat­ura di ferro (Age & Scarpelli con Comencini e Fondato), la pellicola di Comencini metteva in scena un magnifico Alberto Sordi dentro a un personaggi­o paradossal­e eppure così credibile, mentre quella di De Sica sceneggiat­a da Zavattini sul romanzo di Moravia, portava Sophia Loren nell’olimpo degli dei: per lei Oscar da attrice protagonis­ta e Prix d’interpréta­tion féminine a Cannes.

Ma il 1960 non sarebbe stato totalmente mirabilis senza uno dei capolavori (forse “il” capolavoro) di Luchino Visconti, quel Rocco e i suoi fratelli che vide il buio delle sale il 6 ottobre sortendo il terzo maggiore incasso d’annata dopo il Gran premio della giuria alla Mostra veneziana. La tragedia classica ed eterna, colta ma popolare, dei fratelli lucani migranti a Milano dalle mille ispirazion­i riesce ancora oggi a destarci la coscienza inondandoc­i lo sguardo di immutata bellezza.

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