“È L’ULTIMO SACRIFICIO”
TUTTI GLI ESERCIZI ANCORA APERTI: ALIMENTARI, GENERI DI PRIMA NECESSITÀ, FARMACIE, AZIENDE DI PUBBLICA UTILITÀ, POSTE E BANCHE. LA UE ELOGIA IL GOVERNO ITALIANO, COME PURE L’OMS. CHE DICHIARA: È PANDEMIA
Non è la serrata totale, ma ci assomiglia molto. Alle 21:40 di ieri sera, il premier Giuseppe Conte ha dovuto annunciare nuove misure per il contenimento del coronavivirus, decisamente più aspre di quelle che aveva varato solo 48 ore prima. Troppo forti le richieste dei governatori di un ulteriore giro di vite, troppo alto il numero dei nuovi morti. Non è bastato fare di tutta l’Italia una zona “arancione”. Per fermare la pandemia, ufficialmente dichiarata ieri dall’Or ganiz zazi one mondiale della Sanità, bisogna chiudere tutto. E così, il decreto del presidente del Consiglio firmato martedì, alla mezzanotte di ieri viene aggiornato, va subito in Gazzetta ufficiale. Sarà in vigore fino al 25 marzo. E rende la notte più nera.
CI ERAVAMOgià svegliati con quattro stabilimenti di Fca chiusi, con tutti gli alberghi di Venezia blindati, con i tir in fila per 80 chilometri a causa del check sanitario a cui vengono sottoposti i camionisti in uscita dal Brennero e con la polizia che a Milano aveva intensificato i controlli al punto da salire sugli autobus per verificare gli spostamenti dei cittadini. Ma è non bastato. La fotografia del Paese reale, come si diceva prima che il Coronavirus trasformasse la penisola in una landa desolata, ha imposto all’unità di crisi composta dai capidelegazione e da alcuni ministri fino a tarda sera rimasta in riunione a Palazzo Chigi di rispondere a quei 196 morti che solo nella giornata di ieri hanno aggiornato il tragico bollettino della Protezione civile: 149 di loro vivevano in Lombardia, la regione più colpita dal contagio. Ed è da lì, dalla Lombardia, che per prima era partita la richiesta al governo di usare il pugno duro: il governatore Attilio Fontana - e con lui, va detto, praticamente tutti gli altri presidenti di regione - da giorni chiede a Giuseppe Conte di non fermarsi ai divieti in larga parte affidati al buon senso dei singoli cittadini.
Ieri mattina, Fontana, lo ha messo per iscritto. E alle 21.40 il premier gli ha risposto: “Chiuse tutte le attività di vendita al dettaglio, escluse le farmacie e i negozi di generi alimentari e di prima necessità, chiusi anche i reparti delle aziende non necessari alla produzione, mentre le imprese – dice il premier, ringraziando gli italiani per quello che stanno facendo – restano aperte ma devono adottare protocolli per la tutela dei lavoratori”. Restano attivi i trasporti pubblici, le banche, le assicurazioni. Anche i benzinai, le edicole e i tabaccai. Spiragli nel buio, che rendono la scelta del governo comunque diversa dalla “serrata totale” di cui il centrodestra parla da giorni e che il Pd della Lombardia era arrivato a bollare come una “espressione più propagandistica che reale”.
Ma la verità è che i numeri di ieri e la “pandemia” decretata dall’Oms hanno rotto ogni argine, anche quello di tentare di non assestare un colpo irrimediabile all’economia del Paese e di mettere a rischio perfino l’ordine pubblico: la “retorica del modello Wuhan”, dicevano i giallorosa, “non regge: lì ha chiuso una regione, mentre il resto della Cina a continuato a produrre normalmente”. Ma qui, in Italia, la corsa era già partita. Alberto Cirio, a capo del Piemonte, aveva già fatto sapere di volersi uniformare alla Lombardia. Altri stavano già procedendo con misure di contenimento, sulla falsariga di quelle prese dalle regioni più colpite. Jole Santelli, presidente della Calabria, ieri aveva chiuso barbieri, parrucchieri e centri estetici fino al 3 aprile. Il pugliese Michele Emiliano si annunciava bellicoso contro “la bolgia della battaglia che sta per scatenarsi”. Questa mattina tutti i governatori torneranno a riunirsi in videoconferenza con il ministro per gli Affari regionali Francesco Boccia. Ma per valutare gli effetti sul contenimento del contagio dei provvedimenti, ammette Conte, ci vorranno “due o tre settimane”. Prima, è probabile che i contagi aumenteranno: è anche per gestire questa mole di pazienti che il premier ha deciso di nominare l’amministratore delegato di
Invitalia Domenico Arcuri come commissario “per potenziare la risposta delle strutture ospedaliere all’emergenza sanitaria”.
Il commissario
Sarà Domenico Arcuri di Invitalia: dovrà potenziare le risorse della sanità
ARCURI, spiega il premier, “avrà ampio potere di deroga e lavorerà soprattutto per la produzione e la distribuzione di attrezzature per terapia intensiva e sub intensiva”. Non è proprio il supercommissario che voleva il centrodestra. Ma alle opposizioni va benissimo così. “Sono molto contenta – commenta subito Giorgia Meloni – perché abbiamo dimostrato che le nostre proposte erano sensate”.