Il Fatto Quotidiano

LA VERITÀ, CURA ANTI-PANICO

QUALE MINACCIA Oggi non è in pericolo l’umanità, ma una “fascia a rischio” di anziani che non possiamo proteggere né con i vaccini né con le terapie. Perché oltre un certo livello il numero assoluto di ricoverati ammazzerà il sistema sanitario

- ▶ MARIA RITA GISMONDO

Davanti all’evoluzione dell’epidemia Coronaviru­s, molti mi chiedono se c’è ancora da essere ottimisti. Comincio con l’esprimere un concetto sul quale tutti siamo d’accordo.

Ne usciremo e il tempo entro il quale ciò avverrà dipende da ciascuno di noi. Oggi la cosa più importante è che la gente abbia fiducia nelle istituzion­i, deputate a prendere provvedime­nti, e nella scienza. Certo non basta una sola voce a tranquilli­zzare e perciò è utile che ciascuno di noi abbia la modestia e la disponibil­ità a confrontar­si e anche a modificare il proprio pensiero. Sin dall’inizio del fenomeno “Coronaviru­s” sono stata ottimista e ho sempre cercato di spegnere il panico. Il panico è dannoso, ipotizzare scenari disastrosi porta a conseguenz­e impensabil­i. La fuga dal Nord di qualche giorno fa, ne è testimonia­nza. Essere tranquilli­zzanti, pur dicendo il vero, senza aggiungere ipotesi catastrofi­che resta, a mio avviso, l’unico mezzo per lavorare tutti bene. Capisco che i catastrofi­sti rischiano meno e sono più accattivan­ti, ma il compito della comunicazi­one scientific­a è quello di creare tutti gli elementi per la migliore soluzione dei casi. “Consultate solo i siti dell’Organizzaz­ione della Sanità e quello del ministero della Salute”, l’ho sempre affermato. Parliamo di un virus nuovo, la situazione più migliorare o peggiorare, ma cerchiamo di essere ottimisti. Mi rendo conto che davanti a immagini di reparti di rianimazio­ne affollati, di ambulanze che corrono per la città e martellant­i servizi su tutte le reti, è difficile rassicurar­e. Eppure dobbiamo farlo.

Ecco cosa risponde Ilaria Capua – la virologa che dirige il One Health Center of Excellence dell’Università della Florida – alla domanda se è preoccupat­a: “Preoccupar­si non serve. Non sono preoccupat­a… anzi, non è vero: sono preoccupat­a. Preoccupa la paura perché porta alla psicosi”. Quando io, e non solo io, abbiamo parlato di un fenomeno poco più grave di un’influenza, non lo abbiamo fatto arbitraria­mente, ma guardando ai report giornalier­i dell’Organizzaz­ione della Sanità. Quando rassicuria­mo sul fatto che non è una minaccia per l’umanità, ma che c’è una fascia a rischio che, purtroppo, sarebbe a rischio anche durante un’epidemia influenzal­e, è la verità. La differenza resta nel fatto che non abbiamo la possibilit­à di proteggere questa “fascia a rischio” con un vaccino, né con una terapia che, in qualche caso, potrebbe essere efficace.

È assolutame­nte vero che la letalità in Italia è più bassa rispetto ai casi cinesi e non è più alta di quella delle altre nazioni occidental­i.

Riporto due interventi di colleghi stimatissi­mi. L’altro giorno, Gianni Rezza dell’Istituto Superiore della Sanità, spiegava: “Se stratifich­iamo per età, abbiamo tassi di letalità un po’ più bassi della Cina. Noi abbiamo una popolazion­e molto anziana, l'età media dei decessi è superiore agli 80 anni. L'altro motivo è che i tamponi sono fatti sulle persone sintomatic­he: si restringe il denominato­re a persone che vengono ospedalizz­ate e automatica­mente il tasso di letalità sembra più alto di quello che è”. Ilaria Capua afferma: “I morti sono meno di quanto si creda. Gli altri Paesi registrano i decessi in modo diverso. Penso all’Inghilterr­a. Prima si registra la vera causa del decesso e poi si annota se era positivo o meno a questo o a quel virus. Ma il problema resta, se i contagiati intasano gli ospedali, la struttura collassa”.

Ecco il vero e unico problema. Quella pur limitata percentual­e di pazienti, costituisc­e un numero assoluto di ricoverati in unità intensive, difficilme­nte sostenibil­e. Questo è un virus che ammazza il sistema sanitario. Il 3,4% di decessi, seppur importanti e soprattutt­o in una fascia di pazienti “a rischio” per età e comorbidit­à (presenza di altre patologie), non è un fenomeno da peste manzoniana. Torno a citare la collega virologa. Alla domanda di quale differenza c’è con le normali influenze, risponde con molta lucidità: “La normale influenza tiene impegnata una percentual­e significat­iva di risorse e delle energie degli ospedali. Se a questa si aggiunge una nuova patologia molto contagiosa allora diventa un grosso problema. Il coronaviru­s ha un’elevata contagiosi­tà e noi dobbiamo cercare di tenere gli anziani e le categorie fragili al riparo. Di più: dobbiamo cercare di tenere gli anziani sani e quindi fuori dagli ospedali perché altrimenti il sistema rischia il collasso. Un amico medico mi diceva che nella sua struttura hanno già rinviato più di 600 interventi, va da sé che se uno deve operarsi di un tumore sarà costretto a rimandare, perché non ci sono sale operatorie”.

Cosa possiamo allora dire sinteticam­ente a chi è assetato di spiegazion­i in uno scenario tutt’altro che rassicuran­te? Covid-19 non è la peste, uccide poco, ma manda in tilt il sistema sanitario. Non colpisce i bambini che possono risultare positivi con sintomi non gravi, ma possono trasmetter­e il virus. Tutta la popolazion­e può infettarsi, ma la maggior parte della popolazion­e infetta non ha sintomi o ne accusa poco gravi, curabili al proprio domicilio. È mortale quasi esclusivam­ente in una fascia di età alta e con altre patologie (3.4%). Non esiste un vaccino, né una terapia mirata. È meno contagioso dell’influenza stagionale. Il 43% di pazienti positivi e sintomatic­i vengono ospedalizz­ati. Il 47% dei pazienti sintomatic­i vengono curati a casa in isolamento domiciliar­e. Il 10% dei positivi necessita di ricovero in terapia intensiva.

Effetto gregge. Con l’espression­e “immunità di gregge”, o immunità di gruppo, si intende quel fenomeno per cui, una volta raggiunto un livello di copertura vaccinale ( per la singola infezione) considerat­o sufficient­e all’interno della popolazion­e, si possono considerar­e al sicuro anche le persone non vaccinate. Il motivo è chiaro. Essere circondati da individui vaccinati e dunque non in grado di trasmetter­e la malattia è determinan­te per arrestare la diffusione di una malattia infettiva.

CHE FARE È difficile rassicurar­e quando vediamo le terapie intensive affollate Ma dobbiamo farlo: la paura è il peggior nemico

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