Confindustria s’impone Fabbriche aperte: “Ci auto-regoleremo”
Dalla Lombardia in giù, passa la linea degli industriali. Ma a decine hanno già chiuso
Chiudere tutto sì, ma non le fabbriche, a meno che non lo decidano gli imprenditori. Insomma, un sostanziale: “Fate voi”. Alla fine vince la linea della Confindustria lombarda, imposta dal presidente Marco Bonomettialla Giunta regionale, e al suo presidente Attilio Fontana, che lunedì aveva chiesto la serrata totale salvo poi fare marcia indietro sotto la pressione degli industriali inferociti. E quel che vale per la Lombardia vale ora per tutta l’Italia, con il nuovo decreto del governo. Tutto mentre a Roma l’associazione degli industriali prova a far finta che non ci sia un’emergenza, con l’avvio della corsa al successore di Vincenzo Boccia.
IL COROdegli industriali, d’altronde, è unanime: “Non si chiudono le fabbriche”. Nel documento condiviso con Fontana martedì si spiega che saranno gli imprenditori a “regolamentare l’eventuale sospensione o riduzione delle attività lavorative per le imprese”. Bisogna continuare a produrre, non è in contrasto con le esigenze di contenere l’epidemia perché “le fabbriche sono oggi il posto più sicuro e hanno adottato misure di prevenzione”. Chi rispetta distanze minime tra le postazioni, l’uso di maschere e guanti e contingenta gli accessi chiudendo mense e reparti non essenziali resta aperto. Per gli altri c’è lo smart working o la chiusura, ma su base volontaria. Esattamente la linea ripresa dal governo. E d’altronde tutte le associazioni territoriali lombarde si sono espresse contro lo stop. “Ci sono aziende che se chiudono non riaprono più”, fanno sapere. E così nella lettera inviata da Fontana al governo la chiusura delle fabbriche non compare, e si sancisce “l’accordo con la Confindustria Lombardia”, in nome di “quelle attività imprenditoriali collegate a catene mondiali da cui non possono distaccarsi altrimenti ne avrebbero danni eccessivi”. Confindustria Veneto è sulla stessa linea (come anche quella Toscana e via discorrendo). Una scelta contro cui il governo non fa muro, ma che fa infuriare i sindacati: è inaccettabile, dicono da Cgil, Cisl e Uil, che siano gli industriali a decidere
“chi può e chi non può chiudere e lavorare”.
Ufficialmente gli imprenditori si pronunciano contro la chiusura. Da M ic he le Bauli , patron dell’azienda dolciaria (“giù le mani dalle fabbriche”) al colosso della componentistica auto
Brembo (“Un altro fermo significa fermare l’Italia, con rischi enormi perché i componenti prodotti in Italia sono usati in tutto il mondo”). Eppure ognuno va in ordine sparso. Le “multinazionali tascabili” non vogliono bloccarsi, ma a decine arrestano stabilimenti e chiudono punti vendita in buona parte dell’Italia. Dai grandi marchi della moda alle auto. A partire da Fca – si fermano le fabbriche di Pomigliano (oggi, giovedì e venerdì), Melfi e Sevel (giovedì, venerdì e sabato), Cassino (giovedì e venerdì) – fino alle catene d e ll ’ abbigliamento e dello sport, dei cosmetici e dell’oggettistica: Kiko eCalzedonia, ma anche Liu Jo e Motivi, Luisa SpagnolieTrussardi, Benetton, e poi Decathlon, C is al fa , C oi n, RinascenteeTiger. Beretta Armiha annunciato la chiusura degli stabilimenti a Brescia. Altre imprese hanno annunciato la chiusura temporanea: Perazzi Armi, Acciaierie Veneta Mura, Oms Saleri Odolo, Aida, Atb, Io.Img, Bmc eInnse Cilindri. Chiusa anche Alfa Acciai, leader europeo nella produzione del tondino. I metalmeccanici Fiom-Cgil, Fim-Cisl e Uilm-Uil chiedono che negli stabilimenti “si riduca la produzione attraverso la cassa integrazione e le ferie”, mentre per chi è in fabbrica servono accessi scaglionati nelle mense e negli spogliatoi. “La sicurezza dei lavoratori per la salute di tutti”, sottolineano. E ancora: Fico, il parco agroalimentare di Bologna (Eataly) chiude fino al 3 aprile.
LA GRANDE confusione che regna sotto il cielo della Confindustria, travolta dall’emergenza, si rispecchia a Roma. L’epidemia non ferma il Consiglio generale, che oggi riunito in videoconferenza indicherà i due candidati, il presidente di Assolombarda Carlo Bonomi e Licia Mattioli, vicepresidente di Confindustria con delega all'internazionalizzazione. Fino all’ultimo in Viale dell’Astronomia si è lavorato per bloccare la Mattioli e puntare sulla candidatura unitaria di Bonomi (un finanziere, più che un imprenditore). Il 26 il Consiglio dovrebbe votare il vincitore. Boccia preme per rinviare tutto di 6 mesi. E così, con la scusa dell’emergenza, avanza l’ipotesi del candidato “terzo” tra cui il 72enne Marco Tronchetti Provera. Come si dice, il nuovo che avanza...
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