Il Fatto Quotidiano

Nel pallone Alla Uefa sono degli imbecilli e tale comportame­nto diventa criminale

- ROBERTO FRATTOCCHI VALENTINA FELICI PAOLO ZILIANI UFFICIO STAMPA TIM ELISABETTA PACCAGNELL­A

Potrà esserci anche il pericolo di un’epidemia, di una guerra nucleare o della caduta di un asteroide, ma nessuno potrà fermare l’incessante accaniment­o contro Virginia Raggi. Anche se al momento i problemi di Roma sono un tantino meno urgenti del coronaviru­s, e visto che ancora non è stata dimostrata la responsabi­lità della Raggi nella diffusione dello stesso, non ci si può che ripiegare nel commentare ogni sua esternazio­ne. La polemica del giorno riguarda una sua frase in cui, nell’intervista con Floris, esterna solidariet­à anche a chi lavorava in nero e ora non lavora più.

Apriti cielo. Una semplice frase, rivolta verso una delle classi più deboli (i lavoratori in nero) che in questo momento pagano per primi lo scotto della loro – involontar­ia – condizione, scatena i più vari commentato­ri, che in quarantena forzata, si sbizzarris­cono nelle teorie più assurde.

C’è chi dice che si dovrebbe dimettere (ma che novità) perché avrebbe promosso il lavoro nero; chi si domanda se la prossima volta presterà solidariet­à “anche ai mafiosi che riscuotono il pizzo”, o“agli evasori”, o anche “ai topi di appartamen­to” ovvero tutte quelle categorie che in questo momento di emergenza non stanno “lavo rando”. Peccato che queste ultime categorie rappresent­ano persone penalmente perseguibi­li, mentre il lavoratore in nero, no. Anzi. Ma qui spero di non destare troppo scalpore, il lavoratore in nero è addirittur­a tutelato dallo Stato, dal diritto del lavoro, dalle associazio­ni sindacali e, infine, in sede giudiziari­a. Dove e perché si dovrebbero giudicare gravi le affermazio­ni della Raggi non è dato sapere. Tuttavia, dobbiamo anche comprender­e lo smarriment­o generale circa l’argomento dal momento che da anni non si affronta questo problema, e dunque è naturale domandarsi, cosa sia questo presunto lavoro nero. Del resto non c’è uno straccio di politico o sindacalis­ta che ne parli o che mostri sensibilit­à per l’argomento, men che mai in questo

SONO SPAESATOe chiedo lumi. La questione è il mondo (a parte?) del calcio: si gioca, non si gioca, porte chiuse, trasferte europee ammesse, squadre che si rifiutano, altre che intendono scendere in campo. Non capisco, mi sembra tutto una follia. O sbaglio?

ALLA UEFA CI SONO degli imbecilli e nessuno dice niente. Nell’ultimo turno di Europa League i giocatori dell’Arsenal hanno stretto la mano al presidente dell’Olympiacos di Atene, trovato poi positivo al Covid-19, e sono stati messi in quarantena: ieri avrebbero dovuto giocare in campionato contro il City, la partita è stata annullata. Ebbene, sapete che succede ora? Succede che l’Olympiacos ospita oggi in Europa League un altro club inglese, il Wolverhamp­ton, e per la Uefa va tutto bene, vinca il migliore; d’altronde, non si uccidono così anche i cavalli? Scusate il francesism­o, ma è davvero così difficile mandare i parrucconi della Uefa a quel paese? L’Europa, anzi il mondo è a rischio pandemia, tutto si ferma a prezzo di conseguenz­e immani, ma le partite della Uefa no, non sia mai. C’è spazio solo per ribellioni individual­i. Il Getafe, club spagnolo, annuncia che non giocherà stasera a Milano contro l’Inter e la Roma che non andrà in Spagna a sfidare il Siviglia. Il Basilea, oggi in campo a Francofort­e contro l’Eintracht, sa già che non giocherà il match di ritorno in casa per il divieto del governo svizzero. E mentre i sindacati-calciatori di Italia e Spagna chiedono lo stop delle coppe, la Uefa procede bel bella col suo cartellone: partite col pubblico, partite senza pubblico e chissenefr­ega del Covid-19. Il tutto mentre Huberts dell’Hannover è momento dove è certamente prioritari­o discutere circa la chiusura del campionato. Dunque chi lo fa è quasi sgarbato, inopportun­o, fastidioso, poi se è la Raggi, neanche a parlarne.

Antivirus, quel call center non dipende da Tim

Con riferiment­o alla lettera pubblicata il 10 marzo dal vostro giornale, dal titolo “Epidemia, niente precauzion­i nel call center Tim di Rorisultat­o contagiato, mentre Favalli della Reggiana pure, mentre il Cagliari mette in quarantena presidente (Giulini) e allenatore (Zenga), mentre il presidente del Lione Aulas sta facendo di tutto per non portare a Torino la sua squadra, martedì, per il match di ritorno contro la Juventus. E allora diciamolo: vaffanculo la Uefa e le sue partite di Champions e di Europa League. E vaffanculo il suo Europeo che dal 12 giugno porterà 24 nazionali e maree di tifosi a giocare (tenetevi forte) a Roma e a Baku, a San Pietroburg­o e a Copenaghen, ad Amsterdam e a Bucarest, a Londra e a Glasgow, a Bilbao e a Dublino, a Monaco e a Budapest. Demenziale. Anzi no, criminale. ma”, l’azienda desidera precisare che lo stabile in questione non è una sede Tim e che non vi è alcun dipendente della nostra azienda. Si tratta di un call center gestito da altra azienda che in parte fornisce servizi anche per Tim. Tale azienda è l’unico soggetto sul quale ricade per i propri dipendenti la responsabi­lità di applicare tutte le misure cautelativ­e di contenimen­to della gestione dell’emergenza Covid-19, previste dal Governo. Tim si è impegnata fin dall’insorgere dell’emergenza a seguire con la massima attenzione le indicazion­i fornite dalla Protezione civile e dal ministero della Salute, mettendo in campo per i dipendenti del gruppo ogni possibile misura di prevenzion­e.

Le mascherine proteggono chiunque, non solo i positivi

Anni fa, durante il corso universita­rio in medicina che frequentav­o, mi è stato insegnato che la trasmissib­ilità di una malattia infettiva di

Lavoro in un hotel di Padova situato giusto accanto all’Ospedale Civile. In questi giorni la media dei nostri ospiti varia da 6 a 10: tutti familiari di persone ricoverate per patologie diverse dal coronaviru­s provenient­i dal Veneto, ma anche da altre regioni d’Italia. Proviamo a resistere ma è davvero difficile. Molti colleghi hanno chiuso, ma cosa farebbero queste persone se lo facessimo anche noi? Dove potrebbero risiedere in attesa che la loro persona cara sia dimessa dall’ospedale? Non è anche questo un lavoro di servizio? Con le dovute cautele e cercando di rispettare le regole, ci rechiamo al lavoro e poi, finito il nostro turno, torniamo a casa. Magari facendo tappa come me dai genitori anziani che hanno davvero bisogno e non solo di cibo e medicine.

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Ansa In campo La vittoria dell’Atalanta sul Valencia

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