Come lo Stato regalò Autostrade ai Benetton
Il libro di Giorgio Ragazzi: storia di una privatizzazione a carico degli italiani
All’inizio
del 2000 la società Schemaventotto, controllata dalla famiglia Benetton, acquistò dall’Iri il 30% della Autostrade S.p.A. per 2,5 miliardi di euro. Dopo appena quattro anni la sua quota era salita dal 30 al 50% ed erano riusciti anche a recuperare la metà di quanto avevano pagato all’Iri. Il valore del loro investimento residuo, circa un miliardo, era salito di ben sei volte in quattro anni. A fine 2004, Autostrade, pur gravata di circa 7 miliardi di debiti per effetto dell’Opa, capitalizzava in Borsa 11,3 miliardi di euro: si puo dire che valesse quasi tre volte quanto l’Iri aveva incassato appena quattro anni prima. Questa storia di grande successo è poi continuata: da quando è stata privatizzata, la società ha distribuito (sino al 2018) 11 miliardi di dividendi e ha ancora davanti vent’anni di concessione. Potrebbe sembrare la storia di un grande successo imprenditoriale, ma in realtà la società non ha inventato alcun nuovo prodotto, non ha conquistato nuovi mercati o introdotto nuove tecnologie (il telepass fu sviluppato ai tempi dell’Iri), si è limitata a effettuare il minimo degli investimenti richiesti per l’adeguamento della rete, senza aggiungere un chilometro. In buona sostanza si può ben dire che lo Stato abbia regalato la nostra rete autostradale e addossato ai “pedaggiati”, costretti a pagare per mancanza di alternative all’autostrada, una pesantissima rendita, per ben 40 anni.
Come è potuto accadere? I giornalisti, anche stranieri, che mi chiamavano dopo il crollo del viadotto sul Polcevera, chiedevano non solo se le spese di manutenzione fossero state adeguate, ma anche i motivi dei grandi profitti di Aspi e se i Benetton avessero pagato un prezzo giusto ( fair), quando acquistarono dall’Iri, visto che il governo aveva espresso l’intenzione di revocare la concessione.
I fatti salienti di questa vicenda sono: 1) Una privatizzazione gestita malissimo; 2) L’interpretazione della convenzione del 1997 assai favorevole alla società da parte dell’Anas nel 2002, quando ministro era Lunardi; 3) I lunghissimi ritardi negli investimenti, e piani finanziari straordinariamente accomodanti da parte dell’Anas; 4) La pressoché totale remunerazione in tariffa, a tassi elevati, degli investimenti fatti dall’Aspi in terze o quarte corsie, ipotizzando che queste non dessero alcun beneficio in termini di maggior traffico; 5) La nuova convenzione concordata nel 2007 dal ministro Di Pietro che altera i termini della privatizzazione a vantaggio della società e la mette al riparo da ogni rischio di revoca della concessione; 6) Il sistematico scavalcamento dell’organo tecnico preposto a esprimere pareri in materia (il Nars), con l’approvazione per legge sia del IV Atto aggiuntivo sia della Convenzione del 2007 da parte di parlamentari cui era interdetta la lettura delle convenzioni che erano chiamati ad approvare perché segretate.