Montalbano, meglio dei soliti supercommissari da virus
Che ci fa Salvo Montalbano sotto il sole a picco di Vigata, appoggiato alla balaustra accanto a Livia, nel suo ufficio a ricevere i convocati? Indaga. Indaga come nulla fosse in piena emergenza coronavirus, come un poliziotto qualsiasi, ma quale supercommissario. Con tutto il rispetto per il commissario Bertolaso (o chi per lui), noi ci accontentiamo del Commissario Montalbano e pensiamo sia tornato al momento opportuno. La buona narrativa è un universo parallelo, coerente e immaginario come Vigata, in cui trovare riparo quando la cosiddetta realtà fa acqua, non c’eravamo mai accorti quanto di Boccaccio ci fosse in Camilleri, oltre a Simenon. Montalbano è tornato senza il suo primo spettatore, Andrea Camilleri (“Conosco l’assassino, ma non conosco la fine”), senza il regista capace di stupirlo, Alberto Sironi. Ma il connubio di Raifiction, così riuscito perché ognuno va per la sua strada, prosegue. Montalbano è più solo, la regia ne prende atto ed è centrata più su di lui.
Come sempre in Camilleri, l’inchiesta segue strane volute, barocche come il duomo di Vigata, tocca molti personaggi scoprendo per ciascuno almeno un altarino. Chi è senza movente scagli la prima pietra. Ognuno di noi, se si entra nelle pieghe della vita, potrebbe scoprirsi un assassino. Il sospetto è necessario, ma quasi mai sufficiente; tante volte si uccide per caso, o per sfortuna. E c’è più verità nei silenzi che nelle parole. Montalbano lo sa; è questo a renderlo così siciliano, e così universale.