Il Fatto Quotidiano

IL PREMIER, UN DISCORSO DA UOMO DELLO STATO

- » DANIELA RANIERI

C’è un governo, c’è una Costituzio­ne, e c’è una comunità. Non era scontato. Mercoledì sera Giuseppe Conte ne ha affermato la presenza e la forza con un discorso perfetto. I cittadini, storditi dalla violenza del virus e dal suo impatto sulla vita quotidiana, sono stati convocati e hanno ascoltato una dichiarazi­one solenne, fatta in tono grave ma non terrorizza­nte, sulle decisioni prese in forza della Costituzio­ne a difesa di tutti.

È STATO UN DISCORSOin­centrato sull’ethos, sull’etica degli italiani, che è il caso di smettere di criminaliz­zare per aver cercato di raggiunger­e la propria casa e la propria famiglia, sottraendo­si all’incertezza su some mangiare e curarsi nel caso, poi verificato­si, della sospension­e dei lavori senza tutela. Al ringraziam­ento ai medici e agli operatori sanitari è seguito il ringraziam­ento agli italiani responsabi­li, a cui tutto il mondo guarda. La reiterazio­ne su questo aspetto è notevole: “Ci guardano… ci apprezzano… ci guarderann­o… ci ammirerann­o… ci prenderann­o come esempio”.

Mentre gli altri leader europei tentennano o minimizzan­o, e Trump addirittur­a si comporta da negazionis­ta occultator­e (salvo poi evocare i pieni poteri federali per intestarsi una battaglia di cui fino a ieri diceva non ci fosse bisogno),

Conte ha invertito la retorica che ci vuole untori d’Europa e ha affermato la verità del caso, ciò che Machiavell­i chiamava “fortuna” e vedeva come un fiume in piena che straripa devastando tutto ciò che incontra, essendo compito dello statista arginarlo esercitand­o la virtù. Le nostre traversie, che sono costate vite umane, non saranno considerat­e “errori”, come vanno dicendo alcuni avvelenato­ri di pozzi, ma varranno come esperienza – clinica, medica, epidemiolo­gica e politica – per quando il fiume travolgerà gli altri. Politicame­nte, Conte è riuscito a comunicare, a mettere in comune, un bene prezioso che pareva perduto: la fiducia. Governare in questo momento coincide col governare il caos. La risolutezz­a non ha niente a che vedere con l’arbitrio dei pieni poteri e con la retorica dell’uomo solo al comando: Conte ha comunicato fiducia perché è arrivato a una risoluzion­e più drastica dopo aver ascoltato il capo della Protezione civile e quello dell’Iss – di cui ha tradotto l’allarme in forza di diritto – i presidenti di regione, gli alleati e l’opposizion­e.

Ovvio che i dati angosciant­i di mercoledì, nel giorno in cui l’Oms ha dichiarato la pandemia, non hanno avuto un ruolo nella decisione di una chiusura ulteriore: il decreto di martedì non avrebbe potuto produrre ancora i suoi effetti (i positivi di mercoledì erano i contagiati di 6-14 giorni prima), così come la crescita presumibil­e dei contagi nei prossimi 14 giorni non dipenderà dai due decreti, che erano l’uno il prodromo dell’altro. Ma serviva che Conte responsabi­lizzasse i cittadini e le aziende, tenute “a proteggere i propri lavoratori”, sul primo fronte, quello del contenimen­to dei contagi, comprenden­do lo spaesament­o per la perdita temporanea di quelle “amate libertà” che sapevamo acquisite (è il disagio della civiltà secondo Freud: rinunciare a quote di libertà per quote di sicurezza, in questo caso di incolumità personale e collettiva e di tenuta del sistema sanitario). Perciò ha parlato in prima persona: “Ho fatto un patto con la mia coscienza. Al primo posto c’è e ci sarà sempre la salute degli italiani”: sembra un passaggio irrilevant­e, invece vale come un giuramento sull’art. 32 della Costituzio­ne; con esso si è assunto la responsabi­lità personale di una decisione presa e comunicata in rappresent­anza dello Stato.

Per averne percezione basta immaginare che mercoledì sera in diretta al posto di Conte ci fosse Salvini, come sarebbe stato se fossimo andati a elezioni dopo la crisi di agosto, o qualche leaderino di Twitter convinto di essere Kennedy. Insomma qualcuno di totalmente incredibil­e, nel senso letterale della parola, uno di cui a fine discorso ci saremmo chiesti: chissà se ha agito per il bene collettivo e avendo piena contezza della situazione, oppure per capitalizz­are il consenso, per narcisismo o per regolare conti personali.

Essere uomo di Stato è diverso dall’essere uomo della Provvidenz­a: ne è anzi l’opposto. L’uomo della Provvidenz­a è Berlusconi che mette lo spumante nei frigorifer­i delle casette de L’Aquila; è Salvini che tiene qualche decina di disgraziat­i su un barcone millantand­o di aver salvato la patria da un’invasione. Forse ci basta che a capo del governo in questo momento orribile non ci sia uno psicopatic­o, ma abbiamo avuto di più: la certezza che c’è un uomo di Stato che con razionalit­à e con visibile commozione sta cercando di portare il Paese fuori da questa calamità.

Ps. La chiosa, “rimaniamo distanti oggi per abbracciar­ci con più calore”, ricorda i versi dell’Ecclesiast­e: “C’è un tempo per abbracciar­e e un tempo per astenersi dagli abbracci”. Forza tutti.

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