Il Fatto Quotidiano

SE SIAMO COME WUHAN È ANCHE COLPA NOSTRA

- » MARCO LILLO

L’Italia potrebbe diventare l’Hubei d’occidente? L’impatto del Covid-19 potrebbe devastare solo il nostro Paese e scalfire gli altri come è avvenuto in Cina con la regione di Wuhan? Su 80.955 casi accertati dall'Organizzaz­ione Mondiale della Sanità (WHO), in tutta la Cina (1,4 miliardi di abitanti) ben 67.773 sono concentrat­i in quella regione che conta 59 milioni di abitanti, più o meno come l’Italia.

L’Usa, con il blocco degli ingressi dall’Europa, spera di salvarsi dall’UE che forse a sua volta spera di salvarsi dall’Italia. I dati dicono che, almeno per Francia e Spagna, è già troppo tardi. Il 4 febbraio scorso nell’Hubei, c’erano 13.522 casi, poco più del dato italiano di oggi. Mentre il vicino Henan, contava appena 675 casi su 97 milioni di abitanti. Nel rapporto dell’11 marzo scorso, l’ultimo pubblicato dal WHO, l’Hubei è salito a 67.773 mentre l’Henan è arrivato appena a 1.272 casi. Frutto delle misure drastiche di isolamento della regione “malata”. Oggi l’Italia cresce quasi a ritmi da Hubei mentre, sempre secondo il rapporto dell’11 marzo del WHO, che riporta dati meno aggiornati di quelli dei media, i nostri alleati europei non sono riusciti a chiudere la circolazio­ne del virus come fatto in Cina tra Hubei e resto del paese. Se è vero quindi che l’Italia ha raggiunto 10.149 casi e la Francia si ferma a 1.774, la Spagna a 1.639 e la Germania a 1.296, è vero anche che i ritmi di crescita sono simili a quelli italiani e non a quelli dello Henan : 615 casi nuovi in Spagna; 372 in Francia e 224 in Usa. Resta il fatto che l’Italia cresce a ritmi da primato mondiale. L’11 marzo ci sono stati 31 nuovi casi in tutta la Cina, 977 in Italia su un totale mondiale di 4.627. Il 10 marzo erano addirittur­a 1.797. A oggi, su 37.371 casi fuori dalla Cina, noi ne vantiamo 10.149 e la situazione peggiora: siamo in vetta per nuovi contagi inseguiti dall’Iran. Di fronte a questi dati dobbiamo farci una domanda: dove abbiamo sbagliato?

Nessuno può chiamarsi fuori. Sarebbe bello poter dire: gli scienziati lo avevano detto, ma i politici populisti, amici dei no-vax, non gli hanno creduto. Oppure: l’opinionist­a di destra lo aveva previsto, ma l’influencer di sinistra ha avuto più seguito. La verità è che gli errori sono stati tanti e di tutti. All’origine c’è la censura del Regime in Cina. A fine dicembre, il dottor Li Wenliang (morto a febbraio di Covid-19) fu accusato di diffondere voci pericolose e ammonito dalla polizia quando lanciò l’allarme. È bene ricordarlo ora che il regime comunista si fa bello offrendo all’Italia le mascherine. Poi c’è stato l’errore dei medici, non solo italiani, che hanno impiegato un po’ a capire questo strano virus a due facce. Per l’80% delle persone è una normale influenza e solo per il 20% il Covid-19 è un male molto pericoloso. Questa doppia natura ha reso il virus scivoloso da maneggiare per la politica e la comunicazi­one. Non è colpa del premier Giuseppe Conte o del governator­e Attilio Fontana se le nostre prime mosse sono state sbagliate. Basta leggere i rapporti quotidiani, da gennaio a oggi, sul sito del WHO per scoprire come siano cambiate nei mesi le raccomanda­zioni ai governi e ai cittadini. La comunità medica italiana ha mutuato questa incertezza iniziale aggiungend­o una buona dose di personalis­mo.

Abbiamo assistito a derby inutili tra virologi e opinionist­i. Purtroppo la logica dei talk showe dei tweetfun

ziona per l’ascolto non per la prevenzion­e. Bisognava invece spiegare agli italiani che il Covid-19 per l’80% (come diceva la dottoressa Maria Rita Gismondo del Sacco) è un’influenza, ma proprio per questo bisognava aggiungere che – come diceva Roberto Burioni – è pericolosi­sssimo per il restante 20%. Queste persone indifese infatti devono essere curate con macchinari­non disponibil­i in grande numero.

Questo concetto chiaro è stato inserito dal Robert Koch Institute di Berlino nel suo decalogo. Però il 10 marzo. Non a fine gennaio. In quel momento si è persa la grande occasione. Allora bisognava comunicare a tutti l’obbligo di auto-quarantena in caso di influenza o tosse. Bisognava incentivar­e le mascherine e il telelavoro. Bisognava imporre di stare lontano dal pronto soccorso non solo a chi era stato in contatto diretto o indiretto con la Cina come facevano i virologi in tv allora. Invece solo l’ 11 marzo i principali tabloid britannici, facendo tesoro dei morti italiani, sono usciti con un titolo a tutta pagina quasi identico: “Chi ha la tosse resti a casa”. Il governo e le autorità sanitarie (quindi i giornali e le tv) avrebbero dovuto dirlo prima, quando in Germania è stato accertato il primo contagio che poi probabilme­nte è sceso in Italia. Nessuno ha detto allora di stare a casa a chi mostrava i sintomi di una comune influenza. L’errore condiviso da virologi e politici nella prima fase è stato quello di far credere che il Covid-19 fosse una sindrome cinese: un virus con gli occhi a mandorla. Non un virus bifronte che poteva essere asintomati­co in quattro casi su cinque e avere il volto di un bavarese o bergamasco. Così nessuno lo ha identifica­to. Opinionist­i e politici si dividevano su un fronte sbagliato. La sinistra applaudiva il presidente Mattarella che andava nelle scuole cinesi. Il sindaco di Bergamo (focolaio italiano) Giorgio Gori mangiava al ristorante cinese e Matteo Salvini attaccava il governator­e Pd della Toscana Rossi che non metteva in quarantena i cinesi di ritorno. Nessuno pensava che il virus era già tra noi e che i cinesi di Prato erano meno rischiosi degli italiani di Codogno e Bergamo perché si mettevano in auto-quarantena, portavano la mascherina e si lavavano le mani. Noi no. Questo errore, tecnico prima che politico, è disceso nelle circolari delle Regioni e del ministero della Sanità di fine gennaio che si rivolgevan­o solo a chi era stato in Cina o aveva avuto contatti con chi ci era stato. Così il boom di polmoniti di inizio 2020 nel Lodigiano non ha fatto accendere nessuna lampadina e il pronto soccorso di Codogno è diventato un focolaio sì ma ‘legale’ osservando tutte le circolari vigenti.

Anche i cinesi hanno fatto errori, ma sono stati recuperati grazie a importanti limitazion­i delle libertà individual­i. C’è però un secondo segreto del successo cinese che invece dovremmo copiare: il comportame­nto responsabi­le. I cinesi di Prato si mettevano in auto-quarantena mentre il medico di Codogno partiva con la moglie per una vacanza in India.

A Hong Kong gli operatori sanitari si lavavano normalment­e le mani tra una visita e l’altra e indossavan­o la mascherina e non si sono infettati. In Italia quelle regole all’inizio non sono state rispettate. Il contrappas­so è crudele: il

New York Timessolo il 2 marzo pubblicava la storia della studentess­a di Hong Kong, Ciara Lo, discrimina­ta a Bologna. Chi scrive è tornato il 10 marzo da un viaggio in Canada dove quando sentono parlare italiano i tassisti (di ogni nazionalit­à) aprono i finestrini. A zero gradi. Agli studenti italiani a Vancouver gli affittacam­ere cinesi disdettano le prenotazio­ni. Questo pezzo è stato scritto nell’aeroporto di Londra dove British Airways ha cancellato il volo per Roma e l’unica compagnia che ha riportato a casa l’autore e i connaziona­li si chiama Alitalia. Ora che Macron e Trump, forse illudendos­i, pensano di trasformar­e l’Italia nell’Hubei dell’occidente è arrivato il momento di smettere di dividersi tra tifosi di Burioni e Gismondo, Conte e Salvini per mostrare a tutti quel che l’Italia sa fare. La Cina ha sconfitto il virus con le regole autoritari­e. Dobbiamo mostrare al mondo che siamo in grado di sconfigger­e il virus a modo nostro, con la scelta individual­e di essere responsabi­li, nella libertà. Perché il coronaviru­s passa ma la democrazia resta.

I contagi in Italia crescono al ritmo della regione più colpita. In Cina hanno chiuso il contagio quasi del tutto nel solo Hubei. In Europa puntano a fare lo stesso con noi, con scarsi risultati. Ma come siamo arrivati fin qui? IL TEMPO Si è persa la grande occasione: bisognava comunicare subito a gennaio l’obbligo dell’autoquaran­tena

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La Cina è riuscita a confinare il coronaviru­s nella regione dove sorge Wuhan
Ansa Il virus fermato all’Hubei La Cina è riuscita a confinare il coronaviru­s nella regione dove sorge Wuhan
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