L’umanità del Papa è il segno tangibile del suo essere Dio
Pietro-Francesco, al secolo Jorge Mario Bergoglio, oggi compie sette anni. Il 13 marzo 2013, con un’irruzione a sorpresa, lo Spirito Santo cacciò fuori dalla Cappella Sistina i pronostici: decise Lui di andarsi a posare dov’era meglio. Fu così che il figlio di un ferroviere piemontese divenne Papa, andando in affitto nel nome più amato della gioventù santa e renitente: Francesco (d’Assisi). Le parole hanno significato: i nomi, invece, hanno potere: “Chiamatemi Francesco” di sse, senza dirlo, a quella piazza impaziente d’abbracciare il nuovo condottiero mandato da Dio per far transitare il popolo verso l’Eterno. Jorge, quella sera, divenne la casa di Pietro e di Francesco. In sette anni la sua parola è divenuta un bisturi, usato da mani chirurgiche: immaginata nel più silente silenzio, la parola pregata si accende di vita, per poi viaggiare spedita nell’alta marea delle parole umane. Qui, però, non naufraga: è parola (dis)umana, cioè non è d’uomo il suo parlare, manco il riflettere. Figurarsi la sua immaginazione: Lui, per supplemento di grazia ricevuta, può guardare il mondo dall’angolazione di Dio. Per poi prendere in braccio il gregge e condividere con lui la visione ricevuta. In questo tempo, per me complicato da decifrare, molti mi chiedono: “Com’è da vicino questo Papa?” La risposta, pregandola, l’ho soppesata a più riprese. Non è facile a darsi, a dirsi: nella finitezza dell’uomo è andata a conficcarsi l’infinità di Dio. Non è affatto una rockstar: rifugge le mistificazioni, s’imbarazza nell’esaltazione. “Ma che dici? – dirà qualcuno – Se è sempre lì a passeggiare, a farsi toccare, a fare i selfie con la gente! Basta!” Quello che fa così non è Jorge, è Francesco-Pietro: quella sua umanità è il segno tangibile della vicinanza di Dio. È Dio a parlare in lui: “Perchè sorgono dubbi nel vostro cuore? Toccatemi, guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho” ( cfr Lc 24, 38-39). Ogni Papa è il passaggio di Dio nella sua epoca: nel suo corpo, forgiato nell’Eucaristia, è Dio a transitare. È la risposta alla domanda fattami: Jorge è lo scafandro, lo Spirito è il palombaro. Nella carne di un affabile ottantenne, abita la giovinezza di uno Spirito perpetuamente giovane. Quando parla, parla-da-Dio, letteralmente: non è lui a parlare, è lo Spirito che lo inabita.
GESÙ DI NAZARETH è la confidenza più intima mai udita nella storia: all’uomo ha confidato il volto di suo Padre, chiedendo di chiamarlo Abbà. Eccolo il senso del dare-confidenza di Francesco: è la confidenza stessa di Dio, sceso in strada per interloquire con l’uomo. La confidenza non umilia la santità, la fa scoppiare: il santo, nel traffico, è l’unica segnaletica che non fallisce. “Certe volte ho come la sensazione che abbia una doppia personalità!” è la considerazione di certi: Satana, quando vuol far-casino, è geniale: è la peggiore forma di associazione a delinquere di stampo criminale. Imbecille, però: volendo offendere, esalta. Ha una doppia personalità davvero, Francesco: è uomo, è Papa. Indossa, come nessun altro, la forza di Dio e la fragilità di Pietro. Una fragilità invincibile.
Vive perpetuamente in stato d’assedio: basterebbe questo per riconoscere in Lui l’azione-motrice dello Spirito. “Casa Santa Marta è un via-vai continuo” si lamentano in tanti. Quel via-vai, invece, è certificazione di garanzia: necessita, Pietro, di confrontarsi con la voce della periferia, per capire meglio come vanno le manovre-di-soccorso organizzate al centro. La periferia, poi, necessita della vicinanza di Pietro: per non cedere all’assedio avversario. Dopo sette anni è già entrato nella storia come il più contaminato dei pontificati: dove contaminazione è attestazione di vicinanza al popolo, di confidenze portate a Dio. È il destino di ogni postino, del Papa.