Nicholas, Jason e Zac: il rock salvato da batteristi “figli di...”
MA CHE RITMO! I rampolli di Phil Collins (Genesis), Bonzo Bonham (Led Zeppelin) e Ringo Starr (Beatles) sono (bravi) musicisti e tentano la stessa strada dei genitori
Di canzoni del paparino, confessa, gliene piacciono un paio. Il che non ha impedito al diciottenne Nicholas Collins di dare una gran mano al vecchio Phil accomodandosi al suo posto dietro i tamburi nel tour solista dello scorso anno. Così il rampollo è stato confermato anche per la faraonica reunion dei Genesis che vede già 16 concerti fissati da novembre 2020 tra Regno Unito e Irlanda. Mike Rutherford e Tony Banks approvano: Nicholas possiede lo stesso dono per il drummingdel loro antico sodale, che si limiterà a cantare, visti gli acciacchi. E qui siamo alle prese con una amorevole trama di successione familiare, il rock salvato dagli ex ragazzini che prendono il posto dei padri.
GLI INCANUTITI boomers, le rockstar che del boicottaggio delle linee di sangue avevano fatto uno stile di vita, hanno riscoperto presto o tardi il valore centrale della (loro) genitorialità. Del resto, già ai tempi della fuoriuscita dopo The Lamb Lies Down On Broadway, lo stesso Peter Gabriel fu “accusato” dalla band di essersi dedicato troppo alla sua piccola Anna, che subito dopo la nascita aveva rischiato la vita per un’infezione. Anna poi crebbe in salute e divenne documentarista delle tournée di Peter, mentre la secondogenita Melanie condivise con il babbo il palco come seconda voce nei live. Phil Collins, invece, nel 1985 avrebbe potuto cambiare la storia della batteria rock se solo quel giorno caotico del Live Aid non avesse deciso di esagerare. Dopo essersi esibito a Wembley si imbarcò su un Concorde con destinazione Philadelphia, dove i Led Zeppelin erano tra i guest del concertone pro-Etiopia. Phil arrivò intronato e si incartò paurosamente su Stairway to Heaven: se mai Page e Plant avevano accarezzato l’idea di tornare in scena con Collins al posto del defunto Bonzo Bonham, l’ingaggio sfumò prima del tramonto.
Gli Zeppelin trovarono la quadra solo alla fine del 2007, quando lo show in onore dello scomparso discografico Ahmet Ertegun a Londra li convinse a d a s s o l d a r e pro-tempore il figlio di Bonzo, Jason, che vantava già una rispettabile carriera. Sei settimane di prove, e la sensazione che dopo quell’esibizione una tantum (con richieste per 20 milioni di biglietti) fosse in preparazione un nuovo giro del mondo per i Led Zep. Ma Robert Plant chiarì che quella serata (immortalata nel film Celebration Day) era destinata a rimanere unica. Plant si era reso disponibile, sottolineò, anche per aiutare Jason a uscire dalla dipendenza dall’alcool. Bonham jr si disse “distrutto” da quel sogno che si dissolveva: non avrebbe mai preso il posto del padre.
ALTRI SONO STATI più fortunati di lui, nello stesso ruolo e con un analogo stato di famiglia. Zak Starkey è il batterista (“non ufficiale”, ma da anni) dei The Who, ed è un macinatore potente di ritmo: non all’altezza del fantasma fracassone di Keith Moon, ma capace di reggere il confronto con Starkey Sr., ovvero Ringo Starr. Nel suo prestigioso precariato, Zak ha roteato le bacchette con la All Starr Band di Ringo e lavorato con profitto anche con Oasis, Waterboys e
Red Hot Chili Peppers. Però aveva avuto il buon senso di tirarsi indietro dalla discutibile trovata di creare un gruppo di presunti Beatles 2.0.
Le telefonate erano partite un paio di anni fa da James McCartney (cantautore così così) verso gli amici di sempre Dhani Harrison e Sean Ono Lennon. Pizza e birra sì, zingarate pure, ma perché farsi del male come “figli di”? Qualcuno lo aveva già ipotizzato al tempo dei Giochi di Londra 2012: Paul McCartney avrebbe suonato all’inaugurazione e allora perché non sollecitare pure Ringo, Dhani, e uno dei ragazzi di John? In quel caso fu Julian Lennon a mandare a monte l’insano progetto. Perché non tutti sono nati con lo stesso talento del monumento casalingo. Bravo è stato Deacon Frey, figlio di Glen, a ridare fiato agli Eagles. Jeff Buckley superò persino il genio allucinato di Tim. E Miley Cyrus ha sbancato il pop come papà Billy Ray aveva fatto con il country. Enrique Iglesias ha surclassato Julio. Norah Jones aveva reso orgoglioso Ravi Shankar. Charlotte Gainsbourg ha coltivato nel Dna le perversioni di Serge. Ma nessuno nella tribù Marley ha saputo avvicinarsi a Bob; stessa malinconica sorte per Jakob Dylan, Adam Cohen o Dweezil Zappa. O per Cristiano De André, sul quale pesa l’ombra luminosa di Faber.