Il Fatto Quotidiano

Storia di una soldatessa in un ospedale del Sud

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Sono una infermiera di 29 anni e lavoro in un reparto di malattie infettive di un ospedale del sud. Da me la sanità è stata depredata dalla criminalit­à organizzat­a. I vertici nominati dalla politica. Il diritto alla salute dei cittadini messo in secondo piano rispetto alle logiche degli interessi economici. Disorganiz­zazione e sciatteria era quella che vedevo prima senza emergenza e disorganiz­zazione e sciatteria vedo ancora oggi. Non siamo preparati a quello che sta per arrivare. Lavoriamo sotto di personale da tempo. Non riesco a fornire un’assistenza adeguata a tutti i pazienti. I presidi sono scarsi. Molti colleghi di altri reparti sono privi di mascherine idonee. Cerco di resistere il più possibile durante il mio turno con la tuta integrale e la mascherina senza poter usare il bagno, sudando tantissimo e senza poter togliere la mascherina per bere un goccio d’acqua. Sto vivendo in auto-isolamento in camera mia. Mia madre ha avuto un carcinoma l’anno scorso ed entrambi i miei genitori hanno più di 65 anni e diverse patologie. Io e il mio compagno non ci vediamo di comune accordo, e mi manca da morire il calore umano di un abbraccio o un bacio per alleviare lo stress a fine turno. Ho un turbine di emozioni dentro e mi sento come un soldato. Non ho però una preparazio­ne militare. Farò il possibile. Sono però un essere umano, fallibile e non invincibil­e. Spero di non crollare.

State a casa. LETTERA FIRMATA

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