Il Fatto Quotidiano

Il virus nelle celle: “Sospese scuola e teatro, distrutta la nostra piccola normalità”

Misure per evitare il contagio dall’esterno L’email della detenuta Martina a Jo Squillo

- VAL. PAC.

Non

c’è più la scuola, né il teatro. Manca il poter trascorrer­e delle ore in biblioteca o anche frequentar­e corsi sportivi. Il timore del contagio da coronaviru­s irrompe negli istituti penitenzia­ri e distrugge la quotidiani­tà dei detenuti, quella che si sono costruiti dentro le mura carcerarie. La sospension­e delle attività per impedire che qualcuno possa portare dentro il virus ha un effetto devastante sulla vita dei carcerati. Lo sa bene Martina, una delle detenute di San Vittore, a Milano. In passato ha partecipat­o a un progetto portato avanti da Jo Squillo che in quell’istituto ha trascorso quattro mesi per dare vita al docu- film Donne in prigione si raccontano. Martina, con le altre detenute, ha scritto anche una canzone

Rinascita ed è a Jo Squillo che ha inviato un’email per raccontare la loro condizione in questo momento di allarme. “Dopo un tristissim­o 8 marzo – scrive Martina – possiamo dirti che ci sentiamo distrutte come donne, mamme, figlie, compagne e ovviamente detenute. Quello che possiamo dirti è che qui la situazione è soffocante e drammatica”.

LE DONNE di San Vittore – come avvenuto anche nella maggior parte dei carceri femminili – non hanno partecipat­o alle proteste dei giorni scorsi diffuse in 28 istituti penitenzia­ri, dopo che è stata comunicata la sospension­e dei colloqui.

“Noi detenute della sezione femminile – continua Martina – ci dissociamo da ogni forma di protesta violenta, ma non dai motivi della protesta stessa. Non abbiamo la possibilit­à di incontrare i nostri affetti, non abbiamo più alcuna attività trattament­ale, non abbiamo più la nostra piccola ‘normalità’”. Questa detenuta vuole quello che molti stanno chiedendo: la possibilit­à di accedere a pene alternativ­e per chi ha finito di scontare quasi tutta la pena. Ed è la stessa richiesta che un’ottantina di detenute del carcere femminile di Rebibbia, alle quali mancano meno di sei mesi da scontare, hanno già avanzato al magistrato di sorveglian­za. “Quello svolto a San Vittore – spiega Jo Squillo – è stato un progetto partito diversi anni fa. Quattro mesi con le detenute e ho capito tante cose, anche che le donne finite in cella vogliono pagare, vogliono essere riabilitat­e. Ed è questo il vero senso del carcere”.

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Ansa Le proteste a San Vittore

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