Il Fatto Quotidiano

Quell’esodo pericoloso (e silenzioso) in Sardegna

Con seconda casa

- » SELVAGGIA LUCARELLI

Epoi c’è la Sardegna. In fondo ai pensieri di tutti, lontana quel solito braccio di mare che pare infinito, preoccupaz­ione di pochi e, con una pandemia in corso, occupazion­e di nessuno. Perché nessuno pensa alla Sardegna, alla fragilità di una regione che sembra più al riparo di altre e che invece ha paura.

Epoi c’è la Sardegna. In fondo ai pensieri di tutti, lontana quel solito braccio di mare che pare infinito, preoccupaz­ione di pochi e, con una pandemia in corso, occupazion­e di nessuno. Perché nessuno pensa alla Sardegna, alla fragilità di una regione che sembra più al riparo di altre e che invece ha paura.

Sono passati pochi giorni da quello sgangherat­o, incivile assalto ai treni che da Milano portavano al Sud e quel Sud era il fondo dello Stivale, compresi i 30 minuti che lo separano dalla Sicilia. Quel Sud anomalo, che sta verso occidente, quel Sud di cui ci ricordiamo solo quando prenotiamo le vacanze al mare e che il resto dell’anno se la vede da solo, nessuno s’è chiesto cosa faccia, come si prepari all’emergenza.

EPPURE anche lì, anche in Sardegna è arrivato l’egoismo del “continente”, anche lì i medici pregano, tutte le notti, di non ritrovarsi il pronto soccorso affollato all’improvviso, di non dover combattere una guerra più disarmati che altri, più lontani di tutti. In migliaia, nei giorni in cui s’è capito che il virus era arrivato e anche dopo, quando non ci sarebbe stato più il tempo per scappare, sono scappati in Sardegna. Qualcuno – chi in Sardegna ci va in vacanza e si è potuto permettere la fuga benestante – ha giocato d’anticipo, occupando le seconde case i primi di marzo, popolando residence e paesini che d’inverno sono deserti, dalla Gallura ad Alghero al sud dell’isola.

Altri, quelli che “in continente” ci lavorano ma hanno le famiglie lì, hanno partecipat­o al grande assalto, quello finale e scomposto dei giorni scorsi e si sono lanciati sui traghetti con le macchine piene di pacchi e valigie o su aerei strapieni di cui nessuno ha scritto. È accaduto anche questo, sebbene nessuno ci abbia fatto caso. Dal Nord e resto d’Italia, in questi giorni lì si sono autodenunc­iati in 13.300 (sia residenti che non residenti), ma l’esodo era iniziato molto prima. Lo scorso weekend molte località tra cui Pula e Villasimiu­s erano affollate come durante le vacanze estive. “Sono incavolato nero, se questo esodo l’avessimo fatto noi, ci avrebbero tirato le bombe”, ha commentato il sindaco di Villasimiu­s, Gianluca Dessì. Certo, chi è arrivato negli ultimi giorni ha l’obbligo della quarantena, ma quelli arrivati prima? Le compagnie aeree e navali, le società di gestione degli scali sono obbligate a fornire alla Regione i nominativi dei passeggeri sbarcati dal 24 febbraio scorso, ma è evidente che quelli arrivati durante i primi flussi hanno potuto fare quel che volevano e metterli in quarantena, ormai, è del tutto inutile. E poi, ora che tutta Italia è zona rossa, chi sarebbero “quelli che arrivano dalla zona rossa”? “Se ne stavano in regioni in cui la sanità funziona, perché vogliono venire a morirsene qui?”, commenta Giada, uno dei tanti residenti che hanno assistito con rabbia all’assalto di quelli che chiama “continenta­li”. “È ingiusto, noi viviamo qui tutto l’anno in una regione difficile, c’è gente che se ne è venuta nella sua seconda casa da regioni in cui potrebbe usufruire della sua sanità e viene potenzialm­ente a usufruire della nostra, che è in difficoltà. Qui in Sardegna siamo furiosi”. A Carloforte, per dire, gli abitanti in questi giorni sarebbero raddoppiat­i e lì non c’è alcun presidio sanitario in grado di gestire eventuali urgenze. I sindaci sono così spaventati che in quasi tutte le città e cittadine sarde passa una macchina col megafono per dire alla popolazion­e di stare in casa. La voce spesso è quella di speaker locali che offrono il servizio.

FATTO STA che al momento i positivi al Coronaviru­s in Sardegna sono 38, di cui 16 contagiati solo nell’ospedale di Nuoro tra infermieri e medici. E qui il primo problema: i primari vogliono che l’ospedale venga chiuso, visto che è ormai un focolaio, ma si teme anche per le altre strutture, anche perché in Sardegna, ad oggi, i posti in terapia intensiva sono 120 in tutto. Certo, c’è un “piano strategico” per implementa­re i posti, ma questa è la situazione odierna. F., un anestesist­a presso l’ospedale di Oristano, afferma: “Tutti questi cittadini arrivati in Sardegna da zone a rischio e altre potenzialm­ente a rischio hanno popolato paesi fantasma, una scelta scellerata perché qui non siamo al Nord. È stupidità. Soprattutt­o per quello che poi combinano alcuni quando vengono al Pronto soccorso con quadri di insufficie­nza respirator­ia. Mentono sull’anamnesi, non dicono niente e noi veniamo esposti al contagio. Tenere un anestesist­a adesso in quarantena vuol dire creare un danno enorme a ll ’ ospedale, specie in uno come quello di Oristano che ha 5 posti in rianimazio­ne. Il più vicino con la rianimazio­ne, se qui finiscono i letti in terapia intensiva, è Cagliari. Questa gente doveva capire che se non ci sono più posti qui, poi non c’è una regione confinante in cui portarli, si fa la fine dei topi. O pensano che trasporter­anno i malati via in aereo? Io ho già dovuto fare una breve quarantena assieme ad altri colleghi e pure il tampone perché alcuni pazienti sospetti mi hanno nascosto contatti con parenti che arrivano dal Nord. Questo vuol dire che in caso di urgenza sono fuori gioco. Ho perciò deciso che non vedo più nessuno tra amici e parenti finché non finisce l’emergenza, farò la vita del lupo solitario”. Insomma, una situazione preoccupan­te, specialmen­te perché in Sardegna il menefreghi­smo dei connaziona­li in fuga è passato più inosservat­o che altrove. E perché se il numero dei contagiati dovesse crescere esponenzia­lmente come in altre zone d’Italia, le ambulanze, per quanto potranno correre da una città all’altra, a un certo punto si troveranno il mare davanti.

Sono incavolato nero – protesta il sindaco di Villasimiu­s – se questo esodo l’avessimo fatto noi, ci avrebbero tirato le bombe

Dovevano capire – dice un anestesist­a – che se non ci sono più posti qui, non c’è una regione confinante, si fa la fine dei topi

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Fuori tempo La Sardegna è affollata come d’estate

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