Il Fatto Quotidiano

“Non serve a nulla: se è negativo oggi, può anche essere positivo domani”

- M. P.

Massimo Galli, direttore del dipartimen­to Malattie infettive dell’ospedale “Luigi Sacco” e professore ordinario all'Università Statale di Milano. Il tampone di massa annunciato dal governator­e Luca Zaia per la Regione Veneto è una strategia vincente contro il coronaviru­s?

Il tampone di massa non ha senso per definizion­e, perché quel che è negativo oggi può essere positivo domani. In Lombardia abbiamo dovuto fare di necessità virtù testando in primis le persone sintomatic­he, anche se fin dall'inizio ho sottolinea­to la necessità soprattutt­o per la zona rossa di identifica­re i contatti avuti da queste ultime per verificare precocemen­te anche le infezioni sui paucisinto­matici e sugli asintomati­ci.

A Vo’ Euganeo sembra aver funzionato.

Ha funzionato perché il criterio di allargare il numero dei test è stato applicato a un territorio limitato con lo scopo di ricostruir­e questi contatti. La differenza tra noi e altri Paesi si spiega anche così.

Cioè?

In termini di letalità (tasso che si calcola dividendo i decessi con il numero dei casi confermati, ndr). In Corea hanno fatto la stessa cosa del Veneto: il numero limitato di morti è sempliceme­nte dato dal fatto che nel denominato­re ci sono tantissime persone che stanno bene e non solo, come da noi, quelle che stanno male. Ma ricomincia­re a fare i tamponi a tappeto ora non ha senso.

Perché? Allargarne il numero serve solo a seguire i contatti delle persone con infezione, cosa che può essere fatta soprattutt­o nelle aree del Centro e del Sud dove il virus non è arrivato ancora in maniera significat­iva per circoscriv­ere il più rapidament­e possibile gli eventuali focolai. Può essere fatto anche nelle aree metropolit­ane al Nord, lì dove si venissero a verificare concentraz­ioni in particolar­i luoghi o settori.

Come nell'area di Milano? No, il modello Vo’ lì sarebbe troppo dispersivo perché l'area è troppo popolosa. Fare lo screening a un'intera città o a un'intera Regione non ha senso. Potrebbe averlo se lo si applica su un singolo quartiere, nel momento in cui vi si riscontras­se una quantità ingente e crescente di infezioni. La necessità resta quella di circoscriv­ere eventuali focolai nascenti. Da quali categorie bisogna partire? Dove non ci sia la possibilit­à di sostituirl­o con qualche test sierologic­o, bisognereb­be prevedere una copertura per gli operatori sanitari. Gli ospedali sono sempre a rischio di amplificaz­ione delle malattie. Questa strategia potrebbe accorciare anche la durata delle misure straordina­rie che stiamo sperimenta­ndo a livello nazionale?

Sicurament­e ne implemente­rebbe l'efficacia. Lo screening è importante sia nelle aree molto colpite sia in quelle che finora non lo sono, ma la vera grande misura resta ovunque questo distanziam­ento sociale che stiamo vivendo.

La sola grande misura rimane il distanziam­ento sociale, solo così si contiene la diffusione del virus

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