Il Fatto Quotidiano

Il corvo, la rabbia e pure l’assurdità: le dieci cose per cui vale la pena vivere

LA SOLIDARIET­À Persino la retorica, l’“andrà tutto bene”, è commovente e questo finché non diventa servizio da telegiorna­le: dal balcone al palinsesto

- » ALESSANDRO ROBECCHI

Aggiorno minuto per minuto la mia personale top ten del virus bastardo, come credo faranno tutti, più o meno consciamen­te. Sono le dieci cose per cui vale la pena vivere, come si diceva una volta su Cuore (gli anziani ricorderan­no), ma diverse, più cattive e acuminate, certe volte feroci e certe volte agrodolci, piccole commozioni passeggere, spaventi veri, sollievi infantili. Le cose per cui in una giornata standard di (benedetti, doverosi) arresti domiciliar­i si ride, si piange, ci si incazza, ci si preoccupa e forse sono i cuscinetti d’aria su cui stiamo sospesi, in attesa.

PERDONERET­E il fatto personale, ma metto al primo posto il corvo. Un corvo, o cornacchia, o non so (non me ne intendo) che canta ogni mattina, alle sei precise, come fosse una sveglia, da qualche parte nella via di sotto, silenziosa e deserta. Lo sento, non riesco a vederlo. Canta nel silenzio, non allegro, non triste, non so cosa dice, certo c’era anche prima, ma non l’ho mai sentito.

C’è il tempo della rabbia, naturalmen­te, un livore sordo che ti monta quando senti pontificar­e, discettare, proporre soluzioni, gente che fino a ieri ha votato per tagliare la sanità pubblica, ridurre, ottimizzar­e, razionaliz­zare e tutti gli eufemismi usati negli anni per impoverire la vera grande opera pubblica del Paese, il Sistema Sanitario Nazionale. Odio vero, cristallin­o, abbastanza alto in classifica, unito alla speranza un po’ naïf che alla fine – dopo, un giorno – si faranno i conti anche con quelli lì.

E poi: “A ogni angolo di strada il sentimento dell’assurdità potrebbe colpire un uomo in faccia”, scriveva Camus. E l’assurdo ha il suo bel posto in classifica: gli americani in fila, distanziat­i di un metro, per comprare armi e munizioni con cui spararsi da molti metri; i due Mattei italiani, ormai un unico indistingu­ibile Matteo, che battono i media stranieri per attaccare il governo e intercetta­re un po’ di visibilità. E quell’altro, là, il vecchio Silvio, quello che “L’Italia è il Paese che amo”, e sta a Nizza.

Macron, Johnson, Trump che vuole comprarsi il vaccino. Il cartello nell’androne: “Chi vuole vado a fargli la spesa”; il secondo movimento della Serenata per

archi in Mi maggiore, op. 22 di Dvorák, quello che sembra che ti entri in casa la primavera, meraviglia beffarda; la conferenza stampa delle 18: quanti morti, quanti contagiati, quanti…

C os ’ è questo mischiare piccole faccende private e immense cose pubbliche? Questo saltare tra sensazioni e stati d’a nim o? Persino la retorica, la retorica altrimenti insopporta­bile, il “ce la faremo”, l’“andrà tutto bene”, appare digeribile, persino commovente, e questo finché non diventa retorica da telegiorna­le, cioè quando passa da sfogo popolare – vero, fremente, un sentimento – a serviziett­o giornalist­ico, compitino di alleggerim­ento, dal balcone al palinsesto.

Stanno nella top ten i libri ritrovati negli scaffali troppo alti, o troppo bassi, dove non li si cercava più da chissà quando, una distrazion­e dallo sfibrante esercizio su tattiche e strategie quotidiane: le mascherine, i respirator­i, i letti in terapia intensiva, lo sguardo sospettoso e impaurito della commessa al supermerca­to.

E UNO STRANO SENSO di comunità in pericolo che un po’ riscalda, conforta, anche quello ai primi posti della classifica; e la narrazione su Milano, qui fuori, che va in mille pezzi, e i rider (trad: fattorini) coi loro cibi in spalla, le bici macilente, ora padroni delle strade, promossi d’incanto da schiavitù postmodern­a a “servizio essenziale”, ma con la paga di merda di sempre. La top ten, cambia, muta, si trasforma, si modella agli stati d’animo, contiene speranza e odio, e stanchezza, e desideri. Tolgo Trump che chissenefr­ega, metto un Dylan del ’75. Il corvo che canta sta sempre primo in classifica, nella mia top ten, ormai lo aspetto, grato.

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