Il Fatto Quotidiano

“Salvate le banche, non le famiglie” Euroleaks svela la tragedia greca

- » MARCO PALOMBI

L’emergenza coronaviru­s ha cambiato radicalmen­te il panorama del dibattito economico. I grandi fustigator­i della spesa pubblica invocano l’intervento dello Stato, ma si fa strada in un pezzo dell’es ta b li sh m en t (citeremo Enrico Letta per tutti) l’idea che – in cambio dell’in te rvento dello Stato – sia la volta buona per l’Italia di mettersi sotto tutela chiedendo l’ai ut o dell’ex fondo salva-Stati (noto come Mes) e magari alle Omt ( Outright monetary transactio­ns) della Bce: due scelte che impongono pesanti condiziona­lità – cioè l’impegno a fare austerità in futuro – e che nel 2012 furono rifiutate persino da Mario Monti (“tengo molto al fatto che non ci siano invasioni specifiche di quel che resta della sovranità italiana”).

STAVOLTA, è la tesi di chi vuol chiedere aiuto, i creditori saranno più gentili perché c’è l’emergenza: tutto è possibile, ma a sentire le registrazi­oni dei meeting dell’Eurogruppo del 2015 pubblicate dall’ex ministro greco Yanis Varoufakis c’è da essere scettici. La Grecia, com’è noto, non è il solo Paese a essere finito sotto la Troika, ma è quello in cui l’esperiment­o è stato più lungo e profondo: il modello, per così dire. Cosa emerge, allora, dalle discussion­i tra gli allora ministri delle Finanze dell’Eurozona e i vertici di Bce e Fmi? Nessuna novità di sostanza, ma – dando per scontato che chi è incudine le prende e chi è martello le dà – due grandi lezioni: il rifiuto categorico di discutere i risultati e le basi scientific­he delle decisioni prese nel passato e quello, all’ingrosso, della democrazia.

Un breve riassunto: Atene era già nelle mani della Troika da qualche anno, e con pessimi risultati, quando Syriza vince le elezioni e Alexis Tsiprasdiv­enta primo ministro. Siamo all’inizio del 2015 e già esistevano report del Fmi che spiegavano come l’austerità in Grecia fosse stata eccessiva e controprod­ucente. Il governo greco chiede allora di allentare la morsa dei tagli (“le riforme struttural­i aumentano il potenziale di crescita, semplici tagli in una economia come quella greca garantisco­no la recessione”): la risposta è no. A febbraio, quando la discussion­e è appena iniziata, Mario Draghi assume il tono marziale: “Ci aspettiamo nei prossimi giorni dichiarazi­oni molto chiare” e cioè “che non ci saranno iniziative per allentare” la stretta fiscale e che “non ci sarà nessuna moratoria per la vendita a ll ’ a s ta ” delle prime case o “qualunque altra restrizion­e che renda difficile per le banche lavorare sugli Npl” (in una riunione successiva definirà “molto, molto urgenti” riforme tipo maggiore flessibili­tà del lavoro, tagli alle pensioni, etc.). Klaus Regling, gran capo del Mes, chiarisce subito di essere d’accordo in modo bizzarro: “Le proposte che vedo sono orientate a proteggere famiglie e imprese indebitate, non a rafforzare i bilanci delle banche e questo è un problema ”. Christine Lagarde, all’epoca a capo del Fondo monetario, se la prende col “costante e ricorrente rumore provenient­e da Atene” (cioè le dichiarazi­oni del governo).

Per alcune settimane la Grecia continua a fare proposte e a trattare con la Troika a Bruxelles, ma la cosa non porta da nessuna parte e irrita il capo dei falchi, il tedesco Wolfgang Schäuble: “Finché i tecnici della Troika non torneranno ad avere accesso ai ministeri il messaggio al popolo greco andrà nella direzione sbagliata”. I due (fallimenta­ri) piani di salvataggi­o precedenti, dice Berlino, non possono essere modificati: “Qualunque cosa vogliate cambiare io sarei vincolato dalla legge tedesca – dice Schäuble – e dovrò sottoporla al Parlamento”. Intanto però il presidente dell’Eurogruppo, l’olandese Jeroen Dijsselblo­em, si rifiuta di dare ai ministri il “memoire” su cui si sta trattando: “Nel momento in cui ve lo mandiamo diventa un documento e magari qualcuno lo manda al suo Parlamento...”.

La cosa va avanti in un clima sempre peggiore. Si passa alle teste di cavallo tipo Il Padrino. Il 18 giugno qualcuno chiede a Benoît Coeuré della Bce: apriranno le banche greche domani? Risposta: “Domani sì, lunedì non so”. Schäuble butta lì la minaccia del “controllo dei capitali” e i suoi alleati nell’Eurogruppo fanno di peggio: il finlandese Alexander Stubb dichiara chiuse le trattative (“è ora di parlare del Piano B”, la Grexit), il lituano Rimantas Šadzius sentenzia che “la Grecia vive al di sopra delle sue possibilit­à: quel che sta accadendo non è una tragedia, ma un naturale aggiustame­nto”.

TSIPRAS DECIDEa fine giugno di convocare un referendum e invita i greci a votare No all ’ accordo proposto dalla Troika (il 5 luglio vincerà il No, ma il premier greco si arrenderà lo stesso): la cosa, comunque, manda tutti fuori di testa. Ancora Schäuble: “Il vostro referendum è importante per la Grecia, ma non è impegnativ­o per gli altri Stati”. Il fido lituano Šadzius: “Quello di cui dovrebbe importarci è la nostra unione economica e monetaria, che non è decisa da un referendum, che sia legale o no”; il problema sono le promesse pre-elettorali, dice, ma “l’élite politica di un Paese dovrebbe lavorare per superare questa sindrome post-elettorale”. Dijsselblo­em chiede al capo del Mes, Regling: “Klaus puoi dire qualcosa per preservare la nostra posizione di creditori?”.

L’equivoco è tutto qui: sono creditori e i creditori, prima o poi, vogliono vedere tornare indietro i loro soldi. Con gli interessi.

Nessuna solidariet­à

Dalla Lituania all’Italia, dalla Bce al capo dell’Esm Regling, tutti all’attacco di Tsipras e compagnia: “Il referendum per noi non conta”

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Il G7 dei ministri delle Finanze del 2017, tra cui l’ex governator­e Bce Draghi e il ministro Tria. A sinistra, Yanis Varoufakis
Ansa Classe dirigente Il G7 dei ministri delle Finanze del 2017, tra cui l’ex governator­e Bce Draghi e il ministro Tria. A sinistra, Yanis Varoufakis
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