La meglio gioventù dell’Italia unita: la Scapigliatura degli squattrinati
In libreria tornano Arrighi, Tarchetti e compagni, l’avanguardia letteraria dell’800
“In tutte le grandi e ricche città del mondo incivilito esiste una certa quantità di individui d’ambo i sessi, v’è chi direbbe: una certa razza di gente – fra i venti e i trentacinque anni non più; pieni d’ingegno quasi sempre; più avanzati del loro secolo; (...) travagliati, turbolenti
– i quali – e per certe contraddizioni terribili fra la loro condizione e il loro stato, vale a dire fra ciò che hanno in testa, e ciò che hanno in tasca (...), meritano di essere classificati in una nuova e particolare suddivisione della gr an d e famiglia civile”. Cletto Arrighi, al secolo lo scrittore Carlo Righetti (Milano, 1828-1906), presentava con queste parole i frammenti di La Scapigliatura Milanesesull’Almanacco del Pungolo del 1858. Quattro anni dopo, nel 1862, apparve in volume il suo romanzo La Scapigliatura e il 6 Febbr aj o, che avrebbe battezzato la composita tendenza letteraria e artistica che sarebbe passata alla storia, tra il 1860 e il 1870-80, come il primo movimento letterario dell’Italia unita. Sotto quella designazione di scapigliatura, “così elastica e vaga” come scriveva Gianfranco Contini, in parte antiborghese e bohémien, almeno sul piano esistenziale, e tendenzialmente rivoluzionaria, tesa a rivendicare l’autonomia dell’arte, sono stati incasellati, oltre all’Arrighi, i due Boito, Arrigo e Camillo, e Igino Ugo Tarchetti, Emilio Praga e Giuseppe Rovani, Antonio Ghislanzoni, Roberto Sacchetti, ma pure Carlo Dossi, Giovanni Faldella, Vittorio Imbriani.
I NARRATORI, i poeti, i drammaturghi e gli artisti scapigliati, in ogni caso, erano, come affermava Arrighi, una “razza giovane”, che scontava la cancellazione delle istanze democratiche e garibaldine del Risorgimento e, soprattutto, si scontrava con la trasformazione borghese e capitalistica dell’Italia, con i suoi scandali bancari e le sue avventure coloniali alle porte.
Così non stupisce che oggi, in piena crisi di valori e con tanti giovani lacerati “fra ciò che hanno in testa, e ciò che hanno in tasca”, l’editoria di cultura riscopra la letteratura degli scapigliati. Lo dimostra la puntuale riproposizione da Mursia di La Scapigliatura e il 6 F eb br aj o di Arrighi, così come quella, per Feltrinelli, del romanzo Fosca del piemontese Tarchetti, del quale la casa editrice Lindau, inoltre, va ripubblicando da qualche tempo i racconti: da Amore
Da Milano Una “razza” di narratori, poeti e artisti bohémien, rivoluzionari e antiborghesi
nell’arte ai Racconti fantastici, a L’innamorato della montagna. E lo testimonia la ristampa per le Edizioni Clandestine di La bella bionda del napoletano Vittorio Imbriani, presentato già da Stampa Alternativa, anni fa, come “il primo romanzo femminista italiano”. Da
Bastogi, poi, è uscito un saggio di Norma C. Viscusi intitolato La Scapigliatura tra solitudine e trasgressione, ovvero “lo spazio di Dio in Tarchetti, Rovani e Dossi”.
In libreria sono arrivati anche i Racconti d’artista della scapigliatura, editi da Unicopli e curati da
Giuliano Cenati: vi si trovano scritti di Tarchetti (presente con Bouvard, storia di un tragico amore necrofilo), di Luigi Gualdo, di Praga, di Camillo Boito e di Dossi (del quale sono proposti due frammenti dalle Note Azzurre). Incentrate sulla “crisi dell’intellettuale di fronte alle contraddizioni della cultura moderna”, le pagine degli scapigliati dell’Ottocento assumono perciò una loro particolare attualità. Furono i primi in Italia, infatti, “a riconoscere la ‘perdita d’aura’ subita da ogni valore d’arte”, e di ogni vita autentica, aggiungiamo noi, “con l’avvento dell’industrialesimo capitalista”. E riescono a dire ancora qualcosa di non inutile, di non effimero, all’odierna “razza di gente”, di cui parlava il milanese Cletto Arrighi: ragazze e ragazzi, dunque, “fra i venti e i trentacinque anni non più; pieni d’ingegno quasi sempre; più avanzati del loro secolo”.