Il Fatto Quotidiano

Virus forte e anziani deboli

Gli scienziati a confronto sul “puzzle di fattori negativi” che può aver inciso sulla presunta specificit­à della regione

- » DAVIDE MILOSA

Aun mese dall’emergenza Covid, la Lombardia con i suoi dieci milioni di abitanti ha raggiunto picchi di contagio superiori in proporzion­e anche alla regione cinese dell’Hubei che ha una popolazion­e simile a quella dell’Italia, circa 60 milioni. Aumentano gli infetti, aumentano i morti. Il sabato nero di ieri ha fissato cifre impensabil­i trenta giorni fa. Tanto più che il numero dei 25.515 contagi va quintuplic­ato per poter aggiungere gli asintomati­ci. Di tutte le province preoccupa quella di Milano arrivata a 4.672, con l’incremento record ieri di 868 casi: il quadro è drammatico. La sproporzio­ne con le altre regioni italiane interroga i ricercator­i. In Lombardia il virus è diventato più cattivo? Le domande sono tante, le risposte poco certe. Si formulano ipotesi di lavoro, non robuste teorie, perché i dati sono pochi.

La virologa Ilaria Capua, in uno studio condiviso con altri ricercator­i americani, avverte: “La nostra analisi mostra gravi limiti nei dati attuali, alla luce dei quali qualsiasi scoperta dovrebbe essere considerat­a preliminar­e”. Il riferiment­o è allo studio delle sequenze complete del virus che in tutto il mondo sono 367. Ancora poche per individuar­e “un tracciamen­to molecolare” di SarsCov2. Di certo, spiega Capua sui giornali internazio­nali, “di fronte alla catastrofe in Lombardia è urgente porsi la domanda. Che cos’è successo?”. Si cercano indizi, magari legati “a ll e strutture ospedalier­e”, condotte dell’aria vecchie come già successo con Sars1 “circolato attraverso l’a er azione dell’Hotel M a Hong Kong”.

LA RICERCA di una specificit­à lombarda sarebbe utile anche per non prevedere uno sviluppo simile nelle grandi metropoli europee. “Ma se il punto debole fossero solamente gli ospedali – spiega la professore­ssa Maria Rita Gismondo – avremmo numeri inferiori. Moltissimi si ammalano a casa”. Ragionamen­to al quale si allinea il professor Massimo Galli, sempre dell’ospedale Sacco: “Gli ospedali, come quelli di Codogno e Alzano sono vettori del contagio accidental­i, anche se è vero che nel 2015 un caso di Mers all’ospedale di Seul provocò 33 morti e 16mila contagi”. Il bollettino nero della Lombardia così potrebbe arrivare da un virus che si è modificato. Di certo una “deriva genetica” e quindi la capacità di replicarsi con ceppi differenti, è stata rilevata dall’ultimo studio dell’equipe coordinata dal professor Galli. La professore­ssa Gismondo va oltre e ipotizza “una mutazione del virus” più aggressiva. “Il virus – spiega – in Lombardia uccide di più, la deriva genetica è evidente, dobbiamo, però, capire come questa eventuale mutazione influisce sul paziente”. Uno studio indiano ha individuat­o sulle glicoprote­ine S (i famosi spikes) “quattro inseriment­i unici” che si trovano solo su SarsCov2. Questi inseriment­i hanno “residui di ammi noacidi” del primo virus dell’Hiv. È un dato importante perché ci spiega una parte di quel 15% del virus che si differenzi­a dalla prima Sars. “L’ipotesi indiana ha un senso – spiega Gismondo – perché con antiretrov­irali possiamo abbassare la viralità ma non eliminarla. Il virus ha altri elementi patogeni a noi sconosciut­i. Sappiamo che la polmonite è l’infiammazi­one più evidente, ma ancora non abbiamo trovato una molecole per inibirla. Anche per questo se vogliamo arrivare a qualche certezza dobbiamo collaborar­e a livello internazio­nale lasciando da parte le vanità personali”.

AL DI LÀ della mutazione del virus, anche Gismondo, come Capua, ipotizza “un puzzle di fattori negativi”. Tra questi, “i dati di comorbità”. Quanti morti da Covid-19 erano ipertesi? E quanti usavano gli Ace inibitori e non i betablocca­nti? “È emerso da alcuni studi come gli Ace inibitori – spiega la professore­ssa Gismondo – facilitino l’infezione da Cov id ”. Nel “pu z zl e ”, Gismondo mette il fatto che la Lombardia ha una popolazion­e anziana. Una generazion­e di “grandi vecchi” nata negli anni Trenta è, per il professor Galli, la spiegazion­e dell’accelerazi­one lombarda. “Anche perché non abbiamo evidenza che SarsCov2 – spiega – si sia modificato verso una maggiore virulenza”. Sulla “mortalità” abbiamo “un denominato­re fatto da persone seriamente malate: in Cina la percentual­e di mortalità di chi arrivava negli ospedali era del 14%. In Lombardia i malati gravi sono tutti tra 70 e 80 anni, molti sono maschi, fumatori o ex fumatori”. E aggiunge: “Abbiamo moltissimi anziani arrivati a essere grandi vecchi grazie al nostro sistema sanitario che li ha sostenuti con le cure, ma restano pur sempre individui fragili, che non resistono a questo virus”. Sono loro “ad aver fatto da incubatori. Non a caso i luoghi dove il virus si è propagato sono bar di provincia frequentat­i da anziani”, che poi hanno diffuso il Covid in famiglia, frequentan­do mogli, figli e nipoti.

Una delle ragioni dell’accelerazi­one è da ricercare nella generazion­e di anziani nati negli anni 30: fin qui sono stati sostenuti dal sistema sanitario Ma restano deboli

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Ricercator­i a confronto Massimo Galli del Sacco di Milano, la virologa Ilaria Capua dello One Health Center in Florida

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