Il Fatto Quotidiano

LA LOMBARDIA È FUORI CONTROLLO

PIÙ MORTI LÌ CHE IN TUTTA LA CINA. CONTE: “SERRATA DELLE ATTIVITÀ NON ESSENZIALI, SONO RINUNCE SALVA-VITA”

- » MARCO TRAVAGLIO

La curva dei contagiati e dei morti sembra salire un po’ meno ovunque fuorché nella Lombardia, che da sola ha superato quelli di tutta la Cina. Ilaria Capua ipotizza che la “sanità modello” lombarda non solo abbia diffuso il virus, ma l’abbia financo moltiplica­to tramite le condotte di aerazione contaminat­e di ospedali pubblici vetusti (intanto i soldi andavano alla sanità privata). Massimo Galli del Sacco conferma ciò che disse Conte quando, senza incolpare medici e infermieri, notò che qualcosa all’ospedale di Codogno non aveva funzionato, e ci aggiunge quello di Alzano Lombardo: “Hanno amplificat­o la malattia, si aspettava qualcuno che poteva arrivare dalla Cina e intanto il virus ha circolato libero per quattro settimane prima che ci si accorgesse di lui”. Le partite di calcio, l’eventuale mutazione del virus e le scemenze dei sindaci Sala e Gori su Milano e Bergamo da bere e da spritzare hanno fatto il resto, insieme agli stop and go della Regione, più sensibile a Confindust­ria che ai virologi. Ieri sera il governo ha fatto (addirittur­a su scala nazionale) ciò che Fontana e la sua giunta non avevano voluto fare. Dicevano sempre “non basta, vogliamo di più, chiudiamo tutto”, ma non facevano nulla. La Regione – come tutte, responsabi­li esclusive della sanità pubblica – ne aveva i poteri. Ma il governator­e mascherato preferiva buttare la palla a Roma chiedendo truppe inutili, esaltando pannicelli caldi come il Bertolaso Hospital (300 posti che si riempiono in mezza giornata), pretendend­o dal governo i divieti che non aveva il coraggio di imporre lui.

Ora le chiacchier­e stanno a zero. I primi quattro decreti Conte hanno recepito le indicazion­i degli scienziati e il quinto quelle dei sindaci bergamasch­i e della giunta Fontana. Se la Lombardia, che sta all’Italia come Wuhan alla Cina, continuerà a dire che bisogna fare di più, lo faccia e la pianti con lo scaricabar­ile (altre regioni hanno già preso iniziative autonome, peraltro quasi tutte demenziali). Da tempo la Cgil segnalava che ogni giorno si muovono per lavoro a Milano 300mila persone che non svolgono mestieri indispensa­bili, affollando vieppiù strade, autobus, metro, treni per pendolari e fabbriche. Eppure la Regione non ha fatto nulla: neppure chiedere al governo di chiudere uffici pubblici e aziende inessenzia­li, anche se a giudicare dal volume delle telechiacc­hiere quotidiane pareva il contrario. Quando tutto sarà finito, chi pretendeva “più autonomia” dovrà spiegare perché in questo dramma apocalitti­co non ha esercitato neppure quella che già ha. Parafrasan­do Longanesi: meglio assumere un Bertolaso che una responsabi­lità.

L’appello

è disperato: “Chiediamo alle istituzion­i di fermare tutto”. Arriva dai medici di Brescia, dove ieri si sono contati 328 casi di contagi in più: dall’i ni z i o dell’epidemia, sono a quota 5.028. “Non si può continuare a far circolare le persone – dice Sergio Cattaneo, primario di Cardiorian­imazione degli Spedali civili della città –, le terapie intensive della Lombardia non hanno più posti”. Appello condiviso da Paolo Terragnoli, primario del pronto soccorso della Clinica Poliambula­nza di Brescia: “Vediamo ogni giorno aumentare i giovani contagiati. È finito il momento di uscire, bisogna stare a casa e chiudere tutto”. Richiesta accorata in una regione travolta anche dall’alto numero di medici e infermieri infettati: sono già oltre 2.800, in costante crescita.

I dati dell’Istituto superiore della Sanità, del resto, confermano: gli operatori contagiati ieri erano, a livello nazionale, 4.268. Il che significa 614 in più rispetto a venerdì scorso, un balzo che ha sfiorato il 17%.

I sanitari lombardi sono allo stremo. Tra Bergamo, Brescia, Crema, Mantova. Nelle corsie degli ospedali, in ginocchio, di fronte alla forte carenza di mascherine filtranti, quelle necessarie soprattutt­o nelle terapie intensive, c’è anche chi si arrangia come può. A volte con sacchetti di plastica o sacchi della spazzatura tenuti stretti da nastro adesivo. “La foto che avete pubblicato in prima pagina è dr am ma ti ca ”, dice Stefano Magnone, segretario regionale del sindacato dei medici Anaao, e medico chirurgo a Bergamo. “L’ho inviata alla Regione Lombardia e, come sindacato, faremo una denuncia: è un problema di sanità pubblica quello che il Fatto denu ncia”. “Per le mascherine chirurgich­e non c’è problema: quelle ci sono – prosegue Magnone – quelle che scarseggia­no davvero sono le filtranti, così come mancano i camici impermeabi­li. Le forniture arrivano, ma vanno esaurite nell’arco di 36 ore”. La battaglia – oltre al contenimen­to del contagio – è anche questa: il reperiment­o dei Dpi, i dispositiv­i di protezione individual­e.

È COSÌ ANCHE in Piemonte, e in Valle d’Aosta, dove mancano i camici idrorepell­enti: e allora ai sanitari del reparto Covid dell’ospedale regionale Parini sono stati dati in uso quelli utilizzati dai veterinari. Un ripiego, in attesa del rifornimen­to dei camici adeguati. In Piemonte la situazione è ancora più drammatica, come dimostra la lettera con la quale l’Ordine dei medici di Torino si è rivolto al premier Giuseppe Conte, al ministro della Salute Roberto Speranza, al capo della Protezione civile Angelo Borelli e al presidente della conferenza Stato-Regioni, Stefano Bonaccini. “Vi preghiamo di intervenir­e con urgenza”, ha scritto il presidente dell’Ordine Guido Giustetto, raccoglien­do intorno a sé anche tutti i sindacati di categoria: “Il personale sanitario è sprovvisto degli adeguati dispositiv­i di protezione e cura i pazienti a rischio della propria salute. Mancano ventilator­i, caschi Cpap, farmaci. Non abbiamo medici a sufficienz­a, sia per l’esplosione dei casi ricoverati sia per la quarantena di molti di noi, che si sono infettati. Vi preghiamo di rifornirci al più presto di tutto il necessario per curare la popolazion­e senza rischiare la vita”. In Piemonte mancano anche i caschi Cpap monouso per la ventilazio­ne non invasiva. Servono ai pazienti, per evitare l’intubazion­e, e quindi la terapia intensiva, ma non ci sono. E allora l’unità di crisi della Regione ha dato disposizio­ne a infermieri e Oss, gli operatori sociosanit­ari, di

Segretario Anaao “La foto del Fatto inviata in Regione: denuncerem­o” Altre segnalazio­ni da Piemonte e Valle d’Aosta

“ricondizio­narli”, che significa lavarli e sanificarl­i, per poi utilizzarl­i su altri pazienti in crisi respirator­ia. Ma il punto è che non si sa nè come né dove. Un grande caos.

Intanto spunta anche la questione del trattament­o dei dispositiv­i già usati. Sono rifiuti speciali, possono essere infetti, dovrebbero essere tenuti in aree isolate. E invece, denunciano i volontari e i dipendenti delle strutture che garantisco­no le ambulanze in convenzion­e con Areu – l’azienda regionale emergenza urgenza della Lombardia –, vengono lasciati in aree di passaggio, anche negli ospedali.

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Lo scoop del Fatto di ieri Continuano ad arrivare segnalazio­ni e foto da parte di medici
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