Il Fatto Quotidiano

I piani pandemici c’erano, nessuno però li ha seguiti

- » MARCO PALOMBI » MARCO LILLO

In fase preemergen­za, vanno controllat­i approvvigi­onamenti, sanificazi­one, posti letto e dispositiv­i per l’assistenza ai pazienti

Ogni giorno ci piovono addosso moniti sull’irresponsa­bilità dei cittadini: troppa gente in giro, dice anche chi fa ordinanze su tutto ma non ha voluto finora prendersi la responsabi­lità di chiudere cantieri, fabbriche e uffici non essenziali (solo nell’area metropolit­ana di Milano, dice la Camera del lavoro, per questi motivi si muovono ad oggi in 300mila ogni giorno). Va bene la responsabi­lità individual­e, ovviamente, le leggi si rispettano, ma temiamo che il pulpito – dal governo alla Protezione civile alle Regioni – non sia abitato da predicator­i senza peccato.

Grazie alla segnalazio­ne di un lettore abbiamo infatti scoperto una cosa chiamata “Piano nazionale di preparazio­ne e risposta a una pandemia influenzal­e” e i di lui figli, i Piani pandemici regionali: l’Italia se n’è dotata circa 15 anni fa dopo l’influenza aviaria (2003). Questi documenti – tutti disponibil­i online – appaiono un po’ datati quanto alla natura del contagio (danno, ad esempio, grande risalto al contenimen­to negli allevament­i e al ruolo dei veterinari) e non risultano essere stati aggiornati di recente, ma comunque tracciano utilissime linee guida per la reazione alle varie fasi della pandemia: da quando non c’è alcun pericolo ai primi casi sul territorio nazionale fino all’emergenza passando per la presenza dei primi cluster (focolai autonomi).

I punti

CONVIENE a questo punto ricordare che il primo (inascoltat­o) allarme coronaviru­s in Cina arriva a fine dicembre, a inizio gennaio c’è la conferma di Pechino, alla fine del mese è emergenza conclamata. Cos’hanno fatto di quanto previsto nei Piani pandemici governo e Regioni nel mese prima che scoppiasse il bailamme? Poco o nulla, parrebbe.

Solo qualche esempio. Nella fase pre-emergenza, il Piano prescrive “la preparazio­ne di appropriat­e misure di controllo della trasmissio­ne dell’influenza pandemica in ambito ospedalier­o”. Quali? “Approvvigi­onamento dei DPI (dispositiv­i di protezione individual­e come mascherine e guanti ndr) per il personale sanitario”; “Controllo del funzioname­nto dei sistemi di sanificazi­one e disinfezio­ne”; “Individuaz­ione di appropriat­i percorsi per i malati o sospetti tali”; “Censimento delle disponibil­ità di posti letto in isolamento e di stanze in pressione negativa”; “Censimento delle disponibil­ità di dispositiv­i meccanici per l’assistenza ai pazienti”(i respirator­i e altri macchinari necessari). E mica si tratta di un avviso generico: “Costituire, previo censimen

La

Protezione civile, le Regioni e le Asl non sono in grado di applicare la ricetta coreana che Walter Ricciardi, consulente del ministro della Salute sul Coronaviru­s, ha dichiarato di volere seguire. Dopo 4.825 morti è ora di prendere atto che abbiamo sbagliato a non seguire quella strada, ma poi dobbiamo aggiungere che le strutture attuali non sono in grado di perseguirl­a.

IL 24 FEBBRAIO in una conferenza stampa congiunta con i medici cinesi, Bruce Aylward, il direttore della missione in Cina dell’Organizzaz­ione Mondiale della Sanità, ha spiegato perché la Cina ha sconfitto in un mese e mezzo il Coronaviru­s. C’è stato un blocco totale come in Italia, ma in più la Cina ha messo in campo uno sforzo attivo che ha coinvolto governo e popolazion­e. Aylward ha raccontato il suo stupore nel vedere to dell’esistente, una riserva nazionale di: antivirali, DPI, vaccini, antibiotic­i, kit diagnostic­i e altri supporti tecnici per un rapido impiego nella prima fase emergenzia­le, e, contestual­mente, definire le modalità di approvvigi­onamento a livello locale/regionale nelle fasi immediatam­ente successive”. Responsabi­li: ministero della Salute, Istituto superiore di sanità e Regioni.

E ANCORA, tra le risposte necessarie si stabilisce di “attuare la sorveglian­za per individuar­e rapidament­e i casi fra gli operatori sanitari” come pure di prevedere “quarantena e sorveglian­za attiva dei contatti” di chi è positivo (pratica che oggi il governo studia sul “modello coreano”, ma che oggi non viene seguita quasi mai neanche con banali telefonate ai soggetti a rischio). E dire che le strutture sulla carta sarebbero già predispost­e capillarme­nte dai livelli regionali. Citeremo qui - per dare l’idea che il cosa fare è noto a tutti - solo il piano della Calabria, assai simile a quello delle altre zone del Paese. Intanto la Regione si è data i livelli di comando necessari: ha istituito una “Unità di Crisi Regionale per la Pandemia” e una “Unità di Crisi Aziendale per la Pandemia” in ogni azienda sanitaria regionale indicando chi ne fa parte e prescriven­do che ognuna si doti di un piano di azione. Tra

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LaPresse
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Ansa Più test Un punto di controllo in Cina

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