I piani pandemici c’erano, nessuno però li ha seguiti
In fase preemergenza, vanno controllati approvvigionamenti, sanificazione, posti letto e dispositivi per l’assistenza ai pazienti
Ogni giorno ci piovono addosso moniti sull’irresponsabilità dei cittadini: troppa gente in giro, dice anche chi fa ordinanze su tutto ma non ha voluto finora prendersi la responsabilità di chiudere cantieri, fabbriche e uffici non essenziali (solo nell’area metropolitana di Milano, dice la Camera del lavoro, per questi motivi si muovono ad oggi in 300mila ogni giorno). Va bene la responsabilità individuale, ovviamente, le leggi si rispettano, ma temiamo che il pulpito – dal governo alla Protezione civile alle Regioni – non sia abitato da predicatori senza peccato.
Grazie alla segnalazione di un lettore abbiamo infatti scoperto una cosa chiamata “Piano nazionale di preparazione e risposta a una pandemia influenzale” e i di lui figli, i Piani pandemici regionali: l’Italia se n’è dotata circa 15 anni fa dopo l’influenza aviaria (2003). Questi documenti – tutti disponibili online – appaiono un po’ datati quanto alla natura del contagio (danno, ad esempio, grande risalto al contenimento negli allevamenti e al ruolo dei veterinari) e non risultano essere stati aggiornati di recente, ma comunque tracciano utilissime linee guida per la reazione alle varie fasi della pandemia: da quando non c’è alcun pericolo ai primi casi sul territorio nazionale fino all’emergenza passando per la presenza dei primi cluster (focolai autonomi).
I punti
CONVIENE a questo punto ricordare che il primo (inascoltato) allarme coronavirus in Cina arriva a fine dicembre, a inizio gennaio c’è la conferma di Pechino, alla fine del mese è emergenza conclamata. Cos’hanno fatto di quanto previsto nei Piani pandemici governo e Regioni nel mese prima che scoppiasse il bailamme? Poco o nulla, parrebbe.
Solo qualche esempio. Nella fase pre-emergenza, il Piano prescrive “la preparazione di appropriate misure di controllo della trasmissione dell’influenza pandemica in ambito ospedaliero”. Quali? “Approvvigionamento dei DPI (dispositivi di protezione individuale come mascherine e guanti ndr) per il personale sanitario”; “Controllo del funzionamento dei sistemi di sanificazione e disinfezione”; “Individuazione di appropriati percorsi per i malati o sospetti tali”; “Censimento delle disponibilità di posti letto in isolamento e di stanze in pressione negativa”; “Censimento delle disponibilità di dispositivi meccanici per l’assistenza ai pazienti”(i respiratori e altri macchinari necessari). E mica si tratta di un avviso generico: “Costituire, previo censimen
La
Protezione civile, le Regioni e le Asl non sono in grado di applicare la ricetta coreana che Walter Ricciardi, consulente del ministro della Salute sul Coronavirus, ha dichiarato di volere seguire. Dopo 4.825 morti è ora di prendere atto che abbiamo sbagliato a non seguire quella strada, ma poi dobbiamo aggiungere che le strutture attuali non sono in grado di perseguirla.
IL 24 FEBBRAIO in una conferenza stampa congiunta con i medici cinesi, Bruce Aylward, il direttore della missione in Cina dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, ha spiegato perché la Cina ha sconfitto in un mese e mezzo il Coronavirus. C’è stato un blocco totale come in Italia, ma in più la Cina ha messo in campo uno sforzo attivo che ha coinvolto governo e popolazione. Aylward ha raccontato il suo stupore nel vedere to dell’esistente, una riserva nazionale di: antivirali, DPI, vaccini, antibiotici, kit diagnostici e altri supporti tecnici per un rapido impiego nella prima fase emergenziale, e, contestualmente, definire le modalità di approvvigionamento a livello locale/regionale nelle fasi immediatamente successive”. Responsabili: ministero della Salute, Istituto superiore di sanità e Regioni.
E ANCORA, tra le risposte necessarie si stabilisce di “attuare la sorveglianza per individuare rapidamente i casi fra gli operatori sanitari” come pure di prevedere “quarantena e sorveglianza attiva dei contatti” di chi è positivo (pratica che oggi il governo studia sul “modello coreano”, ma che oggi non viene seguita quasi mai neanche con banali telefonate ai soggetti a rischio). E dire che le strutture sulla carta sarebbero già predisposte capillarmente dai livelli regionali. Citeremo qui - per dare l’idea che il cosa fare è noto a tutti - solo il piano della Calabria, assai simile a quello delle altre zone del Paese. Intanto la Regione si è data i livelli di comando necessari: ha istituito una “Unità di Crisi Regionale per la Pandemia” e una “Unità di Crisi Aziendale per la Pandemia” in ogni azienda sanitaria regionale indicando chi ne fa parte e prescrivendo che ognuna si doti di un piano di azione. Tra