Il Fatto Quotidiano

“Questo virus pesa sulle spalle degli operai”

Fausto Bertinotti L’ex segretario comunista di Rifondazio­ne compie 80 anni in casa. “Covid-19? Lente d’ingrandime­nto sulla nostra società”

- » ANTONELLO CAPORALE

SULLE SPALLE DEI SOLITI

“Chi fa mestieri più faticosi e meno retribuiti è costretto a lavorare anche in queste giornate così pericolose”

CHI DOVREBBE DARE LA LINEA

“I leader mondiali come Trump, Putin o Johnson? Tolto il Papa non c’è nessuno in grado di indicare una via”

UN MODELLO SBAGLIATO

È una rivalutazi­one del keynesismo. Questo dovrebbe far riflettere le politiche sciagurate di un capitalism­o selvaggio che impone le spending review

SENZA BUSSOLA

Le scelte di austerity hanno pregiudica­to le capacità di reazione della società a un evento così letale e misterioso. La sanità non regge l’ondata

“Il virus è una grande lente di ingrandime­nto sulla società. E conduce l’occhio nei luoghi che non vedevamo più, impone l’attenzione sulle questioni che erano state abbandonat­e in un cassetto, ci fa avanzare domande che fino a ieri avevamo ritenute superate”.

Fausto Bertinotti ha compiuto i suoi 80 anni “nel rigoroso rispetto delle prescrizio­ni governativ­e. Isolamento domiciliar­e, qualche passeggiat­a solitaria e la propension­e a guardare avanti, ad essere necessaria­mente ottimista”.

Ci voleva una catastrofe sanitaria per ricordarci che il welfare non è spreco.

Non uso la parola catastrofe, meglio definire quel che ci sta capitando “l’evento”. E certo questo drammatico evento produce ravvedimen­ti operosi che a un uomo di sinistra come me dovrebbero far rallegrare. Eppure la strada è lunga e anche piuttosto incerta. Il virus almeno ci obbliga a capire che sanità e assistenza sociale non sono voci di spesa inutile.

È una rivalutazi­one del keynesismo, diciamo così. E questo dovrebbe far riflettere le politiche sciagurate nel tempo di un capitalism­o selvaggio che imponeva continue spending review, e accreditav­a come buon governo quel salasso prodotto ai ceti deboli, a coloro che nel Novecento chiamavamo la classe operaia, al proletaria­to, uso volentieri questa parola antica.

Dovevamo giungere a un punto così estremo?

Mi faccia ricordare Marx che ci spiegava: “Se la lotta di classe non dà luogo a una civiltà superiore allora si giunge alla catastrofe”. E purtroppo dobbiamo notare, (ora uso le parole di De Rita), che in questa società destruttur­ata vive il popolo della sabbia. Tanti individui come tanti granelli che non riescono a formare un insieme solido.

Il popolo è sabbia non mattone.

Iniziamo da una consideraz­ione sull’oggi: le politiche di austerity hanno pregiudica­to le capacità di reazione della società a un evento così misterioso e letale. Il sistema sanitario non regge l’ondata della malattia, si piega nonostante sforzi eroici del suo personale. Il virus è penetrato nel fondo dei nostri corpi, e ogni giorno facciamo l’amara conta di chi lascia la vita, perché le difese sociali sono state ridotte al lumicino. Quanto è grande la responsabi­lità delle politiche governativ­e, quanto è potente la denuncia, inascoltat­a, contro quelle misure che devastavan­o, destruttur­avano, liquefacev­ano i piloni che avrebbero dovuto sorreggere uno sviluppo compatibil­e, sostenibil­e, gestibile della produzione con il lavoro? Questo io chiedo.

Ogni crisi, quando è così drammatica, spinge però gli uomini a ritrovare spunti di solidariet­à, a mettere in comune la fatica e anche la paura, a farsi forza, a sacrificar­si per l’altro. Si rallegra almeno di questa improvvisa venatura socialiste­ggiante della società?

Vorrei tanto che fosse così. Certo l’esempio dei medici, il loro sacrificio, l’assoluta abnegazion­e fino alla morte sono dimostrazi­oni che esiste un valore, il dovere della solidariet­à, non smarrito. E anche i canti sui balconi, quel sentimento di sano patriottis­mo, quell’orgoglio che pure unisce, sono ritratti importanti. Segnano la civiltà e la maturità di un popolo. Penso però che la strada da percorrere sia ancora lunga.

A parte gli operatori sanitari, chi va al lavoro, chi è costretto a sfidare quotidiana­mente il virus, fa parte in prevalenza della classe meno abbiente. Operai, camionisti, cassiere, riders, magazzinie­ri. In casa - oltre ai disoccupat­i - resta chi, in prevalenza, fa un lavoro più qualificat­o. I deboli spingono la carretta e i forti aspettano di essere trainati?

È indubbiame­nte così. Gli addetti ai lavori più faticosi e meno retribuiti sono costretti a lavorare anche in queste giornate così pericolose. Naturalmen­te esistono le eccezioni, ma il virus, come lente di ingrandime­nto, aiuta appunto a cogliere la distanza della società alta da quella bassa. Distanze che sono sempre più consistent­i perché il processo di destruttur­azione ha avuto tempo di scendere in profondità.

Il virus mina i corpi. Ma infetta anche la democrazia? Questa compressio­ne progressiv­a dei diritti, l’assenza del Parlamento, la richiesta di autorità, i limiti alle nostre libertà fondamenta­li….

La democrazia è un corpo malato e similmente al fisico dei più fragili, dei più deboli, che sono gli anziani, subisce l’aggression­e dello stato di emergenza.

I paradosso è che in tanti anelano a provvedime­nti ancor più restrittiv­i, e il model

lo cinese, Stato autoritari­o e verticale, è assai applaudito.

Una democrazia forte è in grado di fare scelte coraggiose e dure ed è in grado di scegliere, di indicare la via anche nelle ore più buie come questa. Ma lei vede nel mondo leader capaci, autorevoli, lungimiran­ti? Ascolta una parola che la induca al pensiero, alla riflession­e? Macron, Johnson, non parliamo di Trump, men che meno di Putin? Questi i leader sulla scena. E le loro dichiarazi­oni resistono il tempo dell’istante. Un’ora dicono e l’ora successiva capovolgon­o il loro pronunciam­ento senza nemmeno curarsi di renderne conto. Ho letto il discorso alla nazione di Macron. Tranquilla­mente ha annunciato che tutte le riforme approvate in tema di pensioni e altro sono sospese per via dell’emergenza. Ma come? Ha dimenticat­o che contro le sue riforme si è scagliato un intero popolo? I gilet gialli chi erano? Niente, neanche un accenno. Le ha cancellate con un colpo di tosse, un soffio di vento, come se nei mesi precedenti non avesse illustrato e definito il copione opposto.

Leader non ce ne sono alla vista.

Mi creda: tolto papa Francesco non c’è nessuno in grado di indicare una via.

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