Il Fatto Quotidiano

Proteste e rabbia in campo, quando il calcio si ferma

Tornei ostaggio dell’emergenza

- » ROBERTO BECCANTINI

Con

il calcio fermo, l’E u r op e o rinviato, le coppe in bilico, le formule sotto schiaffo ( playoff, non playoff?) e i calendari ostaggi del virus, corre, la memoria, a quando lo scudetto – che scudetto ancora non era, visto che l’avrebbe ‘coniato’ Gabriele D’Annunzio ai tempi di Fiume – venne assegnato in un giorno, uno solo, a Torino. Era l’8 maggio 1898, quattro le squadre in lizza.

Con il calcio fermo, l’Europeo rinviato, le coppe in bilico, le formule sotto schiaffo (playoff, non playoff?) e i calendari ostaggi del virus, corre, la memoria, a quando lo scudetto – che scudetto ancora non era, visto che l’avrebbe ‘coniato’Gabriele D’Annunzio ai tempi di Fiume – venne assegnato in un giorno, uno solo, a Torino. Era l’8 maggio 1898, quattro squadre in lizza (oggi, a distanza di secoli, diremmo final four), incasso di 197 lire, titolo al Genoa, il 1º della nostra storia.

Nella lotta contro la pandemia siamo tutti soldati senza divisa, tutti bersagli, e il nemico così subdolo, così invisibile da usare gli starnuti e i colpi di tosse come armi. C’è la metafora e c’è la realtà: l’entrata del l’Italia in quella che avremmo chiamato la Grande Guerra, un mattatoio da 16 milioni di morti, spinse i federali, il 23 maggio 1915, a bloccare l’attività. “In seguito alla mobilitazi­one per criteri opportunit­à sospendesi ogni gara”.

L’EUFORIA ERA TALE che si parlò di interruzio­ne, non già di cancellazi­one. Viceversa, tra Caporetto e Vittorio Veneto si dovrà aspettare il 1919 – ma c’è chi scrive il 1921 e chi il 1924 – perché il torneo spezzato trovi un padrone: il Genoa, di nuovo. In testa alla poule settentrio­nale allorché i cannoni presero il potere. Deciso per convenzion­e, senza lo straccio di una delibera ufficiale. Al comando del girone centro–meridional­e figurava, in compenso, la Lazio. Squadra che, in condizioni normali, avrebbe verosimilm­ente conteso lo scettro proprio al Grifo. Insomma: un bel pasticcio. Gli avvocati di Claudio Lotito non mollano l’osso. Reclamano almeno la metà dello “scudo” che la burocrazia indirizzò a tavolino, sorda alle pendenze del campo.

E il 1925? Si giunse fino in fondo, per carità, ma al limite della faida tribale. Il Sud era talmente debole che, in pratica, il primato ruotava attorno alla finale nordista. Genoa contro Bologna. Apriti cielo. Cinque spareggi, addirittur­a, l’ultimo dei quali, il 9 agosto 1925 sul terreno della “Forza e Coraggio” di Milano alle 7 di mattina, senza un’anima in giro (a porte chiuse, secondo il lessico moderno). Vinse il Bologna, 2–0, che poi completò l’opera asfaltando l’Alba Roma. Il fascismo entrò a gamba tesa sull’ordalia. Un gol fantasma di Giuseppe Muzzioli (nel 2-2 della terza puntata) scatenò l’ira dei liguri. Alla stazione di Torino, quarto round, tifosi bolognesi spararono a tifosi genoani. Totem dei fasci petroniani, e di lì a poco gran capo della Figc, Leandro Arpinati ricevette l’accusa di aver manipolato la serie. Politique d’abord, direbbero i francesi.

Strano, molto strano, risultò pure il campionato 1927, vinto dal Torino davanti al Bologna, ma confiscato per l’illecito che un dirigente granata, in combutta con lo juventino Luigi Allemandi – squalifica­to e poi amnistiato – avrebbe compiuto durante un derby–chiave, che il Toro si aggiudicò per 2–1, al prezzo di 25 mila lire. Dal processo emersero indizi, non prove. E anche per questo Arpinati, ancora lui, revocò lo scudetto al Toro senza però assegnarlo al “suo” Bologna. Memore dei moti genovesi del ’25.

E SIAMO alla seconda guerra mondiale. Scritto che dalla stagione 1929-’30 è stato introdotto il girone unico, la caduta del regime mussolinia­no funge da spartiacqu­e. Con il settentrio­ne in mano ai nazisti e ai repubblich­ini, e il meridione agli alleati, ci si spacca, ci si divide, pur di sopravvive­re “sportivame­nte”. Se sotto Roma ci si arrangia su base regionale, più su si dà vita al campionato Alta Italia: 65 squadre suddivise in 7 gironi. Alé. All’epilogo giungono il Torino di Valentino Mazzola, allenato da Vittorio Pozzo e sponsorizz­ato dalla Fiat, ebbene sì, il Venezia, club dal quale Valentino proveniva, e il 42° Corpo dei Vigili del Fuoco della Spezia. Saranno proprio costoro a risalire dal ruolo di outsider al rango di “campioni”: 1–1 con il Venezia, 2–1 al Toro. Agli archivi passa un’impresa, non uno scudetto: lo impone la cesura geografica che fece da tragico sfondo al mini–rodeo.

L’allenatore dello Spezia era Ottavio Barbieri. Studioso famelico, adottò il mezzo sistema: un terzino travestito da “libero” e marcature rigorosame­nte individual­i. Un’idea su cui avrebbero lavorato, con successo, Gipo Viani e Nereo Rocco. Altro che pompiere, Barbieri: un piromane.

LA GRANDE GUERRA DEL ‘15-‘18 All’ultima di campionato, stop alle gare: a tavolino, scudetto al Genoa. La Lazio, prima nel girone, s’infuria

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Afp Spalti vuoti Da sopra: lo Juventus Stadium e i pompieri campioni nel ’44

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