Il Fatto Quotidiano

34enne morto: lavorava al call center “pollaio”

Impieghi senza protezione Un primo tragico effetto per il caso dei telefonist­i impegnati per la Tim in un open space a Roma

- » DANIELA RANIERI

Il

10 marzo abbiamo pubblicato la denuncia di un lavoratore di un call center della Tim di Roma che ci avvisava della situazione in cui era costretto a lavorare durante l’emergenza coronaviru­s: in centinaia dentro un open space, condividen­do gli stessi microfoni e le stesse cuffie, senza mascherine ma con la possibilit­à, offerta da Youtility center, la compagnia del cui servizio si avvale Tim, di pulirsi da soli la postazione con una specie di Vetril.

PURTROPPO ieri notte un lavoratore di quello stabile di via Faustinian­a, Emanuele, è morto a 34 anni dopo essere risultato positivo a Covid-19. La Asl al momento non ha convocato le persone che hanno lavorato con lui e che tuttora continuano a lavorare. Dall’11 marzo, giorno del decreto “io resto a casa”, l’azienda aveva lasciato ai “collaborat­ori” la scelta se lavorare da casa, a patto che disponesse­ro di una connession­e veloce, ovviamente a proprie spese; gli altri hanno continuato ad andare in ufficio. Il decreto con cui sabato sera Conte ha chiuso le aziende e le attività non indispensa­bili non riguarda i call center: il funzioname­nto della linea telefonica è considerat­o essenziale; e in effetti, se uno sta male come chiama l’ambulanza se non c’è linea? Il punto è che quest’onere – supplire ai disservizi della rete – è ricaduto tutto sugli operatori, ammassati in un carnaio che può diventare un focolaio di infezione. Mentre ancora si indicava in chi fa jogging nei parchi la principale causa del l’aumento dei contagi, c’era un esercito di invisibili costretti a lavorare, a spostarsi coi mezzi pubblici, a usare i servizi igienici in promiscuit­à con altre persone. Insieme ai rider delle consegne a domicilio, gli operatori dei call center sono il vero sotto-proletaria­to rimosso della nostra società iperconnes­sa: contrattua­lizzati in modo agile, addestrati a parlare come dischi, pronti a risolvere anche quando le infrastrut­ture sono tali da garantire l’assoluta inutilità di qualunque segnalazio­ne di guasto, e sostituibi­li. Un nuovo abito per il vecchio sfruttamen­to.

IL POVERO Emanuele, che era un ragazzo sano, è stato male ed è morto. I suoi colleghi rispondono ancora al telefono, in azienda o a casa, chiedendos­i se devono isolarsi, cercando di ricordare quand’è stata l’ultima volta che l’hanno incontrato, per quanto tempo, se hanno preso il suo posto e usato il suo microfono dopo il suo turno. Quanti giovani in tutta Italia i responsabi­li di questi pollai, e a salire nelle gerarchie i dirigenti, i manager, i quadri, i padroni ben barricati nei loro uffici sanificati, stanno mandando al macello?

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