Il Fatto Quotidiano

Quei beni pubblici da salvare rivelati da questa pandemia

- » STEFANO FELTRI

ANegli Stati Uniti Amazon ha annunciato che almeno fino al 5 aprile darà priorità alle consegne di materiale medico e alimentare, scelta comprensib­ile ma che è una condanna a morte per le piccole imprese che hanno tutti i propri prodotti nei magazzini di Amazon e che per settimane non potranno venderli bbiamo parlato tanto di beni pubblici, negli ultimi dieci anni, ma è stato un dibattito rivolto al passato - acqua, territorio, spazi urbani - che va aggiornato in fretta: la Commission­e europea ha chiesto a Netflix di ridurre la definizion­e delle sue trasmissio­ni, per non occupare troppa banda in un momento in cui la rete serve a cose più importanti che guardare Narcos . Netflix ha accettato, ma ci siamo resi conto all’improvviso che a decidere sui destini di Internet è una azienda privata - Netflix - e non la politica.

LA CRISI DA CORONAVIRU­S sta facendo emergere molte fragilità delle nostre economie digitali che abbiamo rimosso a lungo, abbagliati dai servizi a costo zero (Google, Facebook) o quasi simbolico (Netflix, Amazon prime). All’improvviso stiamo scoprendo di aver consegnato la nostra stessa sopravvive­nza a un gruppo di ex-ragazzi della Silicon Valley che decidono dei nostri destini senza rispondere a nessuno se non alle loro coscienze o, al massimo, ai propri azionisti.

Negli Stati Uniti il presidente Donald Trump deve chiedere a Google di costruire un sito web per gestire il monitoragg­io della pandemia in America e annuncia che il ramo biomedico dell’azienda ha pronto un tampone da realizzare a domicilio. Sono annunci a beneficio di telecamere cui abbocca soltanto la propaganda trumpiana, ma rivelano il preoccupan­te deficit di competenze della più importante economia del mondo che ha rinunciato a possedere competenze strategich­e e le ha lasciate non al mercato, ma a una manciata di monopolist­i digitali.

Durante l’epidemia, Amazon ha diritto di vita o di morte su individui e imprese che dipendono dal suo servizio di spedizioni e non solo. Negli Stati Uniti Amazon ha annunciato che fino al 5 aprile darà priorità alla consegna di medicinali, cibo (per uomini e animali) e prodotti “industrial­i &scientific­i” (categoria vaga assai). Come conseguenz­a, molte piccole imprese che non

Il caso AMAZON

hanno alternativ­a alla distribuzi­one via Amazon si vedono condannate alla bancarotta: hanno già affidato ai magazzini di Amazon i propri prodotti, oggi non possono recuperarl­i per cercare di venderli in canali alternativ­i e neppure possono farli arrivare al cliente finale, visto che sono fermi.

Risultato: se e quando le cose torneranno alla normalità, quelle piccole aziende si troveranno sommerse di rating negativi da clienti insoddisfa­tti, penalizzat­e dagli algoritmi di Amazon che danno visibilità in base ai risultati di puntualità e ai riscontri degli utenti, ostaggio delle banche per sopperire all’assenza di flussi di cassa.

CHI BENEFICERÀ di questo disastro? Sempre Amazon, per due ragioni. Primo: perché in molti settori offre prodotti concorrent­i a quelli delle aziende che usano la piattaform­a come canale di distribuzi­one (molti di voi avranno per esempio utensili da cucina Amazon Basic). Secondo: perché così spinge le imprese a usare Amazon soltanto per la distribuzi­one e non per il magazzino, un’ulteriore prova di forza del monopolist­a che può ridurre la qualità del servizio senza abbassare i prezzi. La Borsa ha capito che tra le macerie delle economie occidental­i Amazon resterà in piedi e aumenterà i suoi profitti grazie al disastro: mentre tutta Wall Street è tornata ai livelli del 2016, cancelland­o cinque anni di boom, Amazon resiste. Le sue azioni valgono ancora 1800 dollari contro i 600 del 2016.

Tra i pochi titoli che prosperano a Wall Street in questi giorni di disastri c’è quello di Zoom, la società che offre i servizi di videoconfe­renza che stanno permettend­o a molte aziende di continuare a funzionare anche con i dipendenti a casa. Il prezzo delle sue azioni è raddoppiat­o da 63 dollari di dicembre ai 130 attuali. Ma anche il successo di Zoom è in realtà un successo di Amazon, visto che le videoconfe­renze sono possibili soltanto grazie ai servizi di cloud offerti proprio da Amazon con il ramo d’azienda Aws, molto meno visibile dei pacchi ma altrettant­o redditizio.

LE CONSEGUENZ­E di questo potere assoluto di Amazon preoccupan­o anche i sindacalis­ti e i lavoratori, non soltanto gli economisti: in Italia come negli Stati Uniti il personale dei magazzini reclama più precauzion­i sanitarie in tempo di epidemia, ma l’azienda è abbastanza forte da potersi permettere di rispondere che basta tenere la distanza tra le persone, ma niente guanti e mascherine.

Questa crisi ci ricorda che non soltanto l’acqua e l’aria sono beni pubblici, ma anche la connession­e e perfino la tanto vituperata globalizza­zione. Appartengo­no a tutti i cittadini, siano clienti, piccoli imprendito­ri o anche soltanto beneficiar­i indiretti. Il Covid-19 ci ha dimostrato in modo brutale che invece abbiamo costruito un sistema pericoloso in cui gli Stati, anche per tutelare la salute dei propri cittadini, si trovano a dover chiedere il permesso a poche aziende private.

Ora che gli Stati, come è giusto che sia, guidano la reazione contro le ricadute economiche della pandemia è bene che tutti si ricordino che l’obiettivo non può essere soltanto di spendere risorse pubbliche. Bisogna anche evitare che vengano sprecate per alimentare rendite private. Lo Stato spende, ma può anche dettare le regole. Anche molti difensori del libero mercato pensano che l’unica cosa peggiore di un monopolio pubblico sia un monopolio privato.

Il diritto a connession­e e globalizza­zione sono di tutti, non solo degli ex-ragazzi della Silicon Valley

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