Il Fatto Quotidiano

Mura, il baluardo della notizia critica

- » PAOLO ZILIANI

“Sta prendendo sempre più corpo un’idea di informazio­ne che non condivido e che non intendo praticare, un’informazio­ne liofilizza­ta, senza approfondi­mento o gusto del racconto. Twitter, sms, eccetera. Poi non si capisce che cazzo se ne fa la gente del tempo che guadagna. Credo proprio che il vero dramma di oggi sia non avere tempo libero, o averlo illusoriam­ente. Come se stare un’ora a leggere il giornale seduti su una panchina sia una cosa dell’altro mondo. Invece il mio sogno da pensionato è una bella panchina verde, con spalliera, due o tre giornali, un bar vicino per il caffè o il bianchino. Non è che si stesse meglio nell’800, però tutto quello che è accelerato, fast, mi spaventa”. Da un’intervista al Mucchio del 2013, pensieri e parole di Gianni Mura, lo straordina­rio giornalist­a di Repubblica morto sabato a 74 anni per un improvviso attacco cardiaco. Quante volte, in memoria di un personaggi­o scomparso, ci è capitato di leggere la ritrita formuletta “era il migliore?”.

EBBENE: GIANNI MURA, che nel mondo del giornalism­o personaggi­o non ha mai voluto essere, e che ha lottato anzi ostinatame­nte per rimanere sempre e solo persona, il migliore lo era davvero. E lo è stato a lungo, un po’ grazie alla classe pura di cui madre natura l’aveva dotato e che lui esprimeva in qualità di scrittura (e di racconto) eccelsa; e un po’ grazie all’irripetibi­le scuola che da giovane aveva avuto la fortuna di frequentar­e: dopo il liceo classico a Milano, la scuola della Gazzetta dello Sport (niente a che vedere col foglio rosa tutto lustrini e gossip di oggi) diretta negli anni ’60 da Gualtiero Zanetti; poi, l’accademia di Gianni Brera e Mario Fossati a Repubblica. Il Pantheon, per capirci.

Gianni Mura non ha mai scritto un pezzo alla fine del quale, dopo averlo letto, un lettore non si sia sentito più ricco. E se è vero che Pantani, uno dei campioni che Mura in assoluto ha amato di più, gli svelò un giorno il suo segreto dicendo: “Vado forte in salita per abbreviare la mia agonia”, lo stesso avrebbe potuto dire il fuoriclass­e della penna Gianni Mura: “Scrivo pezzi sublimi per stemperare la mia agonia”. L’agonia di vivere un tempo che non gli appartenev­a, il tempo del giornalism­o dell’effimero, del titolo sensaziona­listico, della totale mancanza di critica, spessore, approfondi­mento.

“GIANNI BRERA SCRIVEVA 6 cartelle, 180 righe, anche su Inter-Atalanta perché la sua firma nobilitava la partita; io per la finale mondiale Italia-Francia, quella della testata di Zidane a Materazzi, avevo 70 righe”, raccontò un giorno Mura per rendere l’idea. Un Tirannosau­ro imprigiona­to in un pollaio: questo si sentiva il timido, silenzioso, burbero, generoso Gianni Mura. Che nell’era della tv che divora i giornali, e poi dei social che ingurgitan­o tutto, non ha rinunciato mai, nemmeno per un secondo, a battersi per la sola cosa che amasse forse più di se stesso: la parola scritta. La parola scritta a regola d’arte, con l’inchiostro della competenza e del sentimento, la parola scritta contro la parola detta, urlata, berciata.

L’ultima sua rubrica “Sette giorni di cattivi pensieri” scritta per Repubblica s’ intitolava :“Imbecilli senza confini, mala brava gente è di più”. Ecco: scusaci Gianni per i troppi imbecilli. E grazie per tutto quello che ci hai dato. E per la pazienza che hai avuto.

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LaPresse Il migliore Gianno Mura

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