Il Fatto Quotidiano

Virus, per gli “schiavi” nei campi non esistono regole e protezioni

L’allarme dei sindacati: “I lavoratori, per lo più africani, vivono ammassati nelle tende, senza acqua nè mascherine. E vengono portati coi bus”

- » ROBERTO ROTUNNO

Non può restare a casa chi una casa non ce l'ha, ma abita in una tenda. Non può lavarsi spesso le mani chi non ha sempre a disposizio­ne acqua corrente. Non può evitare assembrame­nti chi ogni mattina prende un pullman affollato per andare a lavorare nelle campagne. Difendere dal Coronaviru­s i braccianti agricoli è una missione molto difficile. Soprattutt­o per gli africani che vivono nei ghetti nei quali l'emergenza igienico-sanitaria è perenne.

LA PRECAUZION­E che in questo momento si cerca di adoperare nei luoghi di lavoro sembra non valere per chi è impegnato nelle raccolte. Le storie che racconta chi vive queste realtà lo confermano. “Di questo – spiega Giovanni Mininni, segretario della Flai Cgil – ci informano i nostri delegati che dormono nella fabbrica occupata di Foggia, nel ghetto di Rignano o a Borgo Mezzanone”. Si sta ammassati, mancano mascherine e strumenti di protezione, gli alloggi sono fatiscenti e non permettono di seguire le indicazion­i delle autorità. Uno scenario simile alla provincia di Reggio Calabria: “A San Ferdinando – prosegue Mininni – sono in una tendopoli, e non ci sembra il luogo adatto per affrontare un'eventuale quarantena”. In questi giorni, i supermerca­ti sono presi d'assalto dalle persone che svuotano interi scaffali per fare provviste settimanal­i, anche i banchi di frutta e verdura: nei terreni, raccontano i sindacati, l'attività si è intensific­ata. Un settore da sempre esposto a sfruttamen­to e illegalità, a maggior ragione in una situazione del genere, è meno controllab­ile. Secondo la Flai, quindi, il rischio è dimenticar­e un mondo che proprio in questi giorni avrebbe visto una spinta alla lotta contro il caporalato, che il governo ha messo in testa all'agenda con l'approvazio­ne di un piano triennale. Ora c'è bisogno di un'accelerata nella messa in pratica delle misure previste dall'intesa, che partono da un'accoglienz­a dignitosa per questi lavoratori. “I prefetti – ha detto Jean-René Bilongo, coordinato­re dell'osservator­io Placido Rizzotto - requisisca­no caserme dismesse o strutture simili per poterli ospitare, disponendo contempora­neamente piani di monitoragg­io da parte delle aziende sanitarie”. Già due anni fa, l'allora prefetto di Foggia Iolanda Rolli (poi spostata altrove da Matteo Salvini) aveva individuat­o strutture disponibil­i. Oggi il problema si ripropone con ancora più urgenza. Il protocollo per il contenimen­to del contagio sui luoghi di lavoro firmato con il governo da sindacati e Confindust­ria non ha visto la partecipaz­ione delle associazio­ni di imprese agricole. In queste ore si sta cercando di definire un accordo nel settore. Anche perché, oltre alle ragioni umanitarie che basterebbe­ro da sole, c'è anche un interesse collettivo: in alcune zone del Paese, scarseggia­no gli stagionali bulgari e rumeni, perché sono soliti tornare nelle loro nazioni durante i periodi di inattività e ora sono rimasti bloccati. Gli africani, invece, restano in Italia e si spostano da una regione all'altra. Con il loro impegno sono loro a garantire l'approvvigi­onamento di frutta e ortaggi nelle nostre case. Se i campi dovessero diventare focolai, l'effetto sarebbe devastante.

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