Il privato è già morto App “spia”? Parliamone
Le rilevazioni delle celle telefoniche sono imprecise
Non credete, ve ne prego, a chi cerca di tranquillizzarvi. L’epidemia che non si risolverà è proprio quella dei vostri dati personali. Le informazioni, anche quelle più sensibili, ci sono scappate di mano come un palloncino ad un bimbo ai giardini pubblici. Ogni elemento conoscitivo che possa riguardarci è finito nelle vene dei mostri che se ne serviranno per i più diversi scopi, pronti a rivenderli a compagini politiche, grandi corporation, realtà sovranazionali. Senza accorgercene, siamo stati noi a porgere il collo ai tanti vampiri che non hanno esitato ad affondare i loro acuminati denti per risucchiare quel che noi inconsapevolmente abbiamo inserito in sede di registrazione ad uno dei tanti servizi temporaneamente gratuiti, quel che abbiamo fatto da quel momento in poi e quel che avevamo memorizzato o visto in precedenza.
IL MORTALE ABBRACCIO, di chi ha offerto opportunità per dare sollievo alla gente del #iorestoacasa, è stato suadente come le note del pifferaio di Hamelin. La frotta di persone che si è accodata ha cominciato a intonare nome, cognome, indirizzo di casa, mail, professione… Il numero Ip che li identificava in rete e quello dell’utenza telefonica sono stati acquisiti più o meno automaticamente e la schedatura è cominciata, prelevando le tracce delle navigazioni online, le iscrizioni ai social, la rubrica dei contatti, la cronologia delle chiamate, le foto scattate e quelle ricevute, e così a seguire nel pieno “rispetto” delle condizioni d’uso e delle autorizzazioni concesse dalla stessa vittima ad agire sul proprio dispositivo. L’anonimato non esiste e la “pseudonimizzazione” (ossia la sostituzione dell’identità con un codice non riconoscibile da chi non abbia le chiavi di decodifica) funziona solo in teoria perché qualcuno comunque è in grado di abbinare lo pseudonimo al soggetto cui si riferisce. Il mito della “riservatezza dei dati personali” (e di tanti diritti basilari dell’essere umano) si sgretola facilmente e si agita lo spettro delle paventate dinamiche del tanto auspicato tracciamento di chi si muove sul territorio.
Si sente dire che saranno le celle telefoniche a posizionare ciascuno di noi sul gigantesco tabellone dell’immobilità, dove non si finisce in carcere senza passare dal “via” come a Monopoli ma si rischiano sanzioni figlie della cultura dell’autovelox e del fare cassa disperatamente di chi non riesce a far valere il senso civico e a propagare il contagio della legalità. Tale rilevazione è imprecisa e approssimativa perché le celle hanno copertura con un raggio anche di chilometri mentre in ambito urbano si sovrappongono per assicurare “ospitalità” all’alta densità di utenti. Quando un telefono mobile non trova accoglienza nella cella più vicina, passa “in carico” ad una adiacente per poi tornare a quella originaria o finire in altra ancora non troppo distante: la distratta o incompetente lettura di un tabulato potrebbe far incriminare persino chi in quelle due ore si era appisolato sul divano. Anche il ricorso alla “triangolazione” (sfruttando la rilevazione dei segnali “radio” di ciascun telefonino fatta da tutte le celle da questo raggiunte, con le debite comparazioni di intensità e l’esame del “traffico” complessivo dei vari momenti) porterebbe ad una localizzazione che non funziona come abbiamo tristemente imparato quando si è trattato di salvare chi si è perso in montagna e magari è caduto in un dirupo…
Si può pensare ad un’app che sfrutti il Gps interno agli smartphone (Corea del Sud e Singapore docent). Dovrebbe essere installata sui dispositivi delle persone riconosciute affette da Coronavirus non solo per seguirne i movimenti (ma dove andranno mai se sono in un letto di ospedale o febbricitanti a casa?) ma soprattutto per estrarre le informazioni dei precedenti spostamenti che sono nella “memoria” del telefono. Come Google ci chiede se ci è piaciuto un luogo in cui ci siamo fermati qualche minuto di troppo, la app potrebbe ripescare gli spazi in cui l’“infetto” è stato e trasmetterli ad una centrale operativa che pubblica località, data e ora per consentire alla gente di sapere se si è trovata nel posto sbagliato al momento sbagliato. Se ne può parlare. Magari non a vanvera.
La soluzione possibile
Il Gps dello smartphone mappa gli spostamenti: una “centrale-dati” avvisa i cittadini a rischio contagio