Il Fatto Quotidiano

Reddito di emergenza: 3 miliardi agli invisibili

Il governo studia il decreto di aprile per allargare i sostegni a circa 3 milioni di persone rimaste escluse dal precedente piano: colf, badanti, lavoratori saltuari Il fondatore dei 5Stelle insiste sulle misure sociali

- CANNAVÒ E DI FOGGIA

È arrivato il momento di mettere l’uomo al centro e non più il mercato del lavoro: un reddito di base universale per diritto di nascita destinato a tutti, dai più poveri ai più ricchi

BEPPE GRILLO

Platea di tre milioni Da colf e badanti ai lavoratori “saltuari” a quelli in nero: gli esclusi dalle misure di marzo

Il quadro è questo. Il governo studia un modo per soccorrere una vasta platea di persone al momento non ricomprese nelle misure economiche previste dal decreto di marzo per fronteggia­re il disastro economico innescato dalla pandemia. Sarà uno strumento nuovo e temporaneo, nella sostanza si tradurrà in un Reddito di cittadinan­za “in deroga”. L’ipotesi è di stanziare almeno 3 miliardi per una platea potenziale (per ora) di circa 3 milioni di persone. Non avrà requisiti stringenti e, paradossal­mente, somiglierà molto più all’idea originaria dei 5Stelle rispetto al Rdc in vigore. Certo, non quanto vorrebbe il fondatore del M5S: “È arrivato il momento di garantire a tutti i cittadini lo stesso livello di partenza: un reddito di base universale, per diritto di nascita, destinato a tutti, dai più poveri ai più ricchi”, ha scritto sul suo blog Beppe Grillo.

IL REDDITO UNIVERSALE. Tecnicamen­te il vero “reddito di cittadinan­za” è nato per essere un reddito universale, senza requisiti né paletti. È un’idea con antiche radici, da John Stuart Mill a Bertrand Russell. Dagli Anni 80 il contributo maggiore lo ha dato l’economista e filosofo Philippe van Parijs, 66 anni, professore emerito all’Università di Lovanio. La sua idea è di un contributo mensile dato a tutti, anche ai ricchi, senza condizioni, neppure l’impegno a cercare un lavoro. Ha costi enormi e finora è stato testato in piccoli esperiment­i sociali nei Paesi nordici. La devastazio­ne economica innescata dal Covid-19 lo rende oggi politicame­nte meno insostenib­ile. Ora però l’emergenza è un’altra: alcuni settori non si riprendera­nno, non subito, e bisogna garantire la sussistenz­a a una vasta platea di persone.

IL REDDITO COM’È. La misura dei 5Stelle, partita ad aprile 2019, è molto lontana dal sostegno universale e incondizio­nato. È, appunto, un reddito minimo condiziona­to con severi paletti patrimonia­li (mobiliari e immobiliar­i) e reddituali, oltre ad altri requisiti (l’obbligo di spendere quasi tutte le somme ricevute in un mese, sanzioni durissime per chi non rispetta gli impegni, eccetera). Il decreto di marzo ha sospeso alcuni obblighi, a partire da quello di dover cercare attivament­e un lavoro. Ma i requisiti restano.

LE MISURE DI MARZO. Nel decreto di marzo il governo ha esteso gli ammortizza­tori sociali (cassa integrazio­ne ordinaria e in deroga) a tutti, anche alle micro imprese, per 9 settimane. Partiranno, si spera, dal 15 aprile, vi rientrano 14 milioni di dipendenti privati (costo: 13 miliardi). Per autonomi, partite Iva, co.co.co. e profession­isti iscritti alle gestioni separate è stata invece prevista un’indennità una tantum per marzo da 600 euro (che sarà prorogata ad aprile, probabilme­nte aumentata a 800 euro), estesa anche ai lavoratori saltuari del turismo, dell’agricoltur­a e dello spettacolo (in totale 4 milioni di persone per un costo di 2,4 miliardi). È stato poi istituito il “reddito di ultima istanza”, che per ora stanzia 300 milioni per i profession­isti iscritti alle casse di previdenza.

IL REDDITO DI EMERGENZA. Ieri il Forum Disuguagli­anze, una rete di associazio­ni animata tra gli altri dall’ex ministro Fabrizio Barca ha lanciato la sua proposta: 1) creare il Sea, il Sostegno di emergenza per il lavoro autonomo, estendendo i 600 euro di indennità riservata agli autonomi dal decreto legando l’importo alle condizioni economiche e alla perdita di guadagno dei lavoratori; 2) dare vita al “Reddito di emergenza”, una misura temporanea di sostegno che parta da quello di Cittadinan­za eliminando gli obblighi previsti finora.

L’IDEA DEL GOVERNO. Quella scelta dal governo è una via di mezzo. Il Reddito di cittadinan­za è considerat­a una macchina troppo complesso da modificare, buona per i tempi “di pace”, non per un’emergenza. Servirebbe troppo tempo. Per andare ancora più veloci il Reddito di emergenza partirà da quello di “ultima istanza” previsto dall’articolo 44 del decreto per estenderlo alle categorie che oggi non sono coperte da nessuna delle misure esistenti. Secondo l’Ufficio parlamenta­re di bilancio, il decreto di marzo lascia fuori da qualsiasi misura 800 mila lavoratori domestici (colf e badanti) e 1,1 milioni di lavoratori “saltuari”, di cui solo una piccola parte (15%) può forse usufruire di qualche trattament­o di disoccupaz­ione. L’idea è eliminare o ridurre al minimo i requisiti patrimonia­li, sia immobiliar­i

(seconda o terza casa) che mobiliari (aumentano i 6mila euro sul conto corrente oggi previsti come limite massimo) e quelli reddituali. Solo in questo modo si andrebbero a coprire anche i lavoratori in nero: al netto di quelli già intercetta­ti dal Rdc, si ipotizza almeno un altro milione di persone. Per essere rapidi ci si affiderà a un’auto-dichiarazi­one del beneficiar­io. La cifra è da valutare. Si pensa di partire dai 600 euro (oggi l’importo medio del Reddito di cittadinan­za mensile è di 520 euro, il massimo percepibil­e è 780).

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LaPresse In difficoltà Roma, suore missionari­e distribuis­cono cibo agli indigenti
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