A Torino contagi nelle case di cura: “Siamo positivi in 8”
Indagine dei Nas: infetto metà del personale di una struttura “Noi senza protezioni, un ospite era un ex paziente dimesso”
Anche in Piemonte, come già accade in Lombardia, in seguito alla delibera della Regione che, come raccontato dal Fatto giorni fa, reindirizza verso residenze sanitarie assistenziali i pazienti Covid dimessi dagli ospedali, le strutture per anziani potrebbero diventare pericolosi focolai di contagio, soprattutto a causa della scarsa protezione fino a oggi garantita agli operatori sanitari. E dopo le inchieste aperte a Milano (sarebbero una decina), arrivano i primi casi dalla provincia di Torino, ormai stabilmente la quarta in Italia dopo Bergamo, Milano e Brescia per numero di contagi. I Nas hanno avviato un’attività d’indagine nelle case di riposo di tutta la provincia di Torino per accertare il numero di morti e di positivi e per capire se medici e infermieri siano stati forniti delle misure di protezione necessarie.
NEL CENTRO “Santa Maria dei Colli” della Fondazione Don Carlo Gnocchi in collina a Torino, c’è già stato un sopralluogo dei Nas: “Mi sono preso il coronavirus lavorando – è quanto racconta, con la voce strozzata dalla tosse, uno degli operatori sanitari –. Siamo in 16, la metà di noi ha il virus”. Nella struttura, a essere colpiti ci sarebbero attualmente anche dei pazienti. La direzione sostiene che ve ne sia uno solo, “in isolamento”.
“Ci dicevano di non usare le mascherine”, afferma l’inf ermiere mentre mostra la email della direzione sanitaria in cui si raccomandava di lavare ripetutamente le mani e scriveva: “Le mascherine non servono a nulla”. Era il 25 febbraio, l’emergenza coronavirus era iniziata e il governo aveva già emanato un decreto che imponeva le prime misure di contenimento anche in Piemonte.
L’infermiere ricorda: “Ci dicevano di toglierle perché avremmo spaventato i degenti. E mentre noi eravamo indifesi, loro continuavano ad accettare ricoveri di pazienti sospetti anche dagli ospedali. ‘Non preoccupatevi, non hanno il virus’, ripetevano”. Ma il fortissimo sospetto che un anziano paziente arrivato al Santa Maria ai Colli a metà marzo da un noto ospedale cittadino il coronavirus lo avesse, c’è eccome: “To s s i v a forte, il 118 l’ha portato con la mascherina – racconta l’operatore – Noi non siamo stati protetti. Chi lavorava nel suo reparto, il B, si spostava nell’altro reparto A. Così il contagio si è diffuso. L’anziano si è poi aggravato e lo hanno portato alle Molinette”.
Il 19 marzo si è ammalata un’operatrice. Aveva avuto contatti con lui. “Le hanno detto di stare a casa, ma per il tampone è dovuta tornare qui – dicono i colleghi – È risultata positiva”. Nelle ore successive è toccato agli altri.
La fondazione Don Gnocchi di Torino respinge ogni
In piena allerta Una email del 25 febbraio invitava a non indossare la mascherina: “Può spaventare i nostri degenti”
Il caso
LO SCOOP del “Fatto” di sabato scorso: 2.400 ex pazienti Covid sono stati dimessi in Lombardia e reindirizzati verso hospice e residenze per anziani, col rischio che queste stesse strutture diventino a loro volta focolai. Anche a Torino potrebbero esserci già stati casi simili accusa: “Già dal 26 febbraio – dichiara – sono state applicate le raccomandazioni di Oms e Iss sull’utilizzo precauzionale dei dispositivi di protezione personale. Da quel giorno sono iniziate continue sessioni di formazione del personale sul corretto utilizzo dei dispositivi e sui metodi corretti di vestizione. L’istituto non è destinazione di trasferimenti di pazienti positivi e ha sospeso i ricoveri, gli ultimi sono avvenuti la settimana scorsa a fronte di tamponi negativi”.
L’AVVOCATO Romolo Reboa, che assiste 18 lavoratori di una coop che lavora per la Don Gnocchi di Milano e che ha denunciato la struttura per motivi analoghi, fa notare che i provvedimenti a tutela dei lavoratori sarebbero dovuti essere attuati prima. “Il 12 febbraio – afferma il legale – il ministero della salute ha imposto l’uso dei dispositivi di protezione nelle strutture sanitarie. L’azienda ha diffuso un documento ancora il 7 marzo dove c’è scritto di usare la mascherina solo se si sospetta di essere ammalati o se si assistono persone malate. Come se i malati potessero venire a lavorare”.
C’è anche un volantino, che alcuni infermieri contagiati hanno fornito al legale, in cui compaiono istruzioni sull’uso delle mascherine. L’ult imo passaggio raccomanda: “Al termine del turno, riponila nel sacchettino e conservala con cura”.