COME EVITARE DI FARE PIÙ DEBITI
Chi paga il prezzo di un ulteriore aumento del debito pubblico italiano? Premesso che gli Stati, diversamente dagli individui, sono astrattamente immortali, un problema di restituzione in sé del debito sovrano non esiste; e quindi questo “peso” viene trasmesso di generazione in generazione senza particolari patemi d’animo.
La vera questione, dunque, è quella della gestione e della sostenibilità di questo fardello.
SE IL DEBITO DIVENTA sproporzionato, gli investitori cominciano a preoccuparsi che lo Stato non sia in grado di onorare gli impegni presi e, quindi, o smettono di acquistare i suoi titoli, anzi li vendono, oppure pretendono interessi crescenti. È la famosa self-fullfilling-profecy: si comincia a temere che l’Italia faccia default e, a causa dei comportamenti che quel timore determina, il default si materializza davvero.
Insomma, c’è una soglia oltre la quale il debito, da una cosa assolutamente normale, e infatti tutti gli Stati lo hanno, diventa un grosso problema.
Sembra di capire che noi questa soglia l’abbiamo superata da un pezzo e se è vero che le prospettive di crescita del Pil sono agghiaccianti, si comprende agevolmente che stiamo correndo un grosso pericolo.
Ecco, allora, che l’idea di accattonare finanziamenti dalla Ue a me urta parecchio: considero la Ue un parente, o alla peggio un congiunto, dell’Italia e dunque mi aspetterei soluzioni che, pur senza deresponsabilizzarci, allo stesso tempo non ci trasformino in un vero e proprio zombi finanziario. Certo, è vero che gli Stati che in passato hanno fatto ricorso a finanziamenti europei, come la Grecia, la Spagna e l’Irlanda, dopo una prima fase di lacrime e sangue hanno ripreso fiato. Ma, salvo dimostrare che tali esperienze siano replicabili nel caso Italia, la “ripresa” ha prodotto conseguenze gravissime del loro rispettivo tessuto sociale. In particolare, è aumentata la diseguaglianza: i ricchi sono diventati più ricchi mentre gli altri sono diventati tutti più poveri.
Perché questo? Per tanti motivi, ma il principale è che il debito, quando diventa eccessivo, costringe lo Stato a fare due cose: aumentare le imposte e ridurre i servizi e, guarda caso, entrambe queste cose incidono sulle fasce economicamente più deboli della popolazione.
Quanto all’imposizione, questo è vero in quanto non sono le rendite, in particolare finanziarie, a essere colpite dall’aumento della fiscalità, ma il lavoro. I redditi da lavoro e delle piccole imprese sono gli unici a essere assoggettati alla tassazione progressiva, mentre il resto “gode” di una flat tax di fatto.
Ma è sul versante dei servizi che il fenomeno è più dirompente.
Per capirlo dobbiamo considerare che la “ricchez za” di una persona non si misura solamente dai soldi che ha, ma anche dalla quantità e qualità dei beni e servizi di cui essa ha diritto in quanto cittadino di un certo Stato.
È intuitivo che, a parità di soldi sul conto corrente, uno svedese è più “ricco” di un italiano o di un greco. Ed è altrettanto intuitivo che, a parità di beni e servizi offerti da uno Stato ai propri cittadini, sono quelli più deboli che ne usufruiscono di più: se sono infatti una persona dotata di mezzi economici ingenti, non mi preoccupo se la sanità pubblica è penosa perché posso farmi curare a pagamento, se del caso in Svizzera o negli Usa.
ECCO SPIEGATOcome l’aumento eccessivo del debito produca conseguenze negative sulla distribuzione della ricchezza nazionale. Ma quel che è più grave è che l’aumento della diseguaglianza avviene in modo incontrollato e in assenza di un processo democratico che vi sovrintenda. Se gli americani votano un presidente che promette la riduzione della pressione fiscale sui ricchi e della copertura sanitaria dei poveri, direi che se la sono cercata. Ma quando ciò avviene in conseguenza del fatto che la finanza pubblica va fuori controllo perché la nave ha imbarcato troppa acqua, ecco allora che il problema diventa assai più grave e investe la stessa tenuta del sistema di check and balances che ci siamo dati.
Detto questo, io preferirei di gran lunga che la ricchezza nazionale, anziché essere drenata dalle forze incontrollabili del cosiddetto Mercato, fosse gestita in maniera consapevole. L’Italia è, sotto tanti punti di vista, un Paese povero popolato da ricchi. Questo, nel sacrosanto rispetto della Costituzione, deve cambiare: prima di ricorrere al debito eccessivo, e metterci in mano alla speculazione internazionale, dobbiamo far fronte con i mezzi che già abbiamo.