Il Fatto Quotidiano

3. “Più armi italiane al Cairo”

La relazione del governo sulle forniture belliche, anticipata dalla Rete per il disarmo: nell’anno scorso commesse per un totale di 871,7 milioni

- TECCE ▶

L’Egitto del generale Abdel Fattah al Sisi è i l primo cliente dell’industria bellica italiana: licenze autorizzat­e per 871,7 milioni di euro di commesse, si tratta in gran parte di una fornitura di elicotteri della Leonardo. E nel computo, riferito al 2019, manca la coppia di fregate Fremm - l’accordo non è ancora firmato - da oltre un miliardo di euro di Fincantier­i. “È un’offesa alla memoria di Giulio Regeni”, denuncia la Rete per il disarmo. L’organizzaz­ione pacifista ha scovato e anticipato la relazione annuale del governo che analizza le esportazio­ni di armamenti, un documento di oltre mille pagine che il sottosegre­tario alla presidenza del Consiglio – stavolta è toccato al pentastell­ato Riccardo Fraccaro – deve inoltrare a Camera e Senato. La Rete per il disarmo segnala un sensibile aumento dei contratti con il Cairo, mentre il giro d’affari delle armi flette di un punto e mezzo percentual­e sul 2018: 5,174 miliardi di euro di vendite previste, di cui 2,9 miliardi consegnate, il 66,2% verso stati non europei e neppure Nato.

PERÒ L’EGIT TO genera le contestazi­oni più imbarazzan­ti per il governo di Giuseppe Conte: non collabora con le autorità giudiziari­e per l’inchiesta sulla brutale uccisione di Regeni, non rilascia lo studente Patrick Zaki che fu arrestato dopo il rientro a casa da Bologna. E per altre ragioni il Cairo è un avversario geopolitic­o di Roma: foraggia l’esercito di Khalifa Haftar che da Bengasi, in Cirenaica, si muove contro il governo libico di Fayez al Serraj, riconosciu­to dalla comunità internazio­nale. Al Sisi ha ripreso a comprare sistemi di difesa perché avverte la minaccia dei nemici turchi, sbarcati in massa in Africa e schierati sul campo a fianco di Serraj. Recep Tayyip Erdogan ha brame di conquiste – o almeno di influenza – in territorio libico e nel ricco mare di fronte alle coste egiziane. La giustifica­zione del governo italiano, semmai servisse, è valida da sempre. Suona più o meno così: abbiamo un’industria bellica che contribuis­ce al prodotto interno lordo, dà lavoro a decine di migliaia di cittadini e va supportata in trasparenz­a; se interrompi­amo i contatti con gli egiziani favoriamo i nostri amici/rivali europei e non aiutiamo l’indagine su Regeni.

LA RETE PER IL DISARMOseg­nala anche l’inedito rapporto con il Turkmenist­an, che piomba in classifica e segue l’Egitto. Entrambi non brillano per il rispetto dei diritti umani. Al terzo posto c’è la Gran Bretagna. Grossi acquisti per l’Algeria e la Corea del Sud. Dopo la freddezza diplomatic­a dell’intero occidente per la tremenda esecuzione dello scrittore dissidente Jamal Ahmad Kashoggi, avvenuta nel consolato a Istanbul, l’Arabia Saudita è assente dalla lista dei principali acquirenti di strumenti militari italiani. Palazzo Chigi, nel testo di introduzio­ne inviato in Parlamento, si fregia della “stringente attività ispettiva” tra le aziende del settore: 20 società coinvolte su 347. I pacifisti non tollerano la diffusione di armi di chiunque e ovunque, però l’Egitto è un caso di studio per tutti. Da un lato va isolato, dall’altro va ammaliato. Nell’incertezza italiana si spediscono armi e navi. Con enorme dispiacere di francesi e inglesi.

La denuncia “Questa è un’offesa alla memoria di Giulio” Grossi acquisti anche per il Turkmenist­an

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